Per Ernesto Assante “Vento nel vento” era il capolavoro dimenticato di Battisti

ERNESTO ASSANTE

27 febbraio 2024 • 15:57

Si trova in un disco che si ricorda per Io vorrei…non vorrei… ma se vuoiIl mio canto libero La luce dell’Est. Anche se non viene trasmessa in radio è il capolavoro di Battisti, che parla d’amore in modo unico e vero: così la ricordava il giornalista di Repubblica, appena scomparso

Ernesto Assante era un mio amico. È morto lunedì 26 febbraio a Roma dopo un ictus, era una autorità del giornalismo musicale italiano: nato a Napoli aveva compiuto 66 anni due settimane fa. Lavorava da 45 anni al quotidiano Repubblicadove aveva scritto non solo di musica, ma promuoveva le innovazioni digitali del giornale negli anni Novanta inventando assieme all’amico e collega Gino Castaldo Webnotte dove scatenava il suo talento nell’intrattenere, fare domande ed entrare in sintonia con musicisti e artisti.

Con lui ho lavorato come editore e Ernesto ha pubblicato con me i suoi ultimi libri che gli avevo chiesto di scrivere sui due artisti fondamentali della nostra cultura popolare: Lucio Dalla con Gino Castaldo, Mondadori, 2022 e Lucio Battisti, da solo, Mondadori, 2023, da cui traggo un estratto.
Beppe Cottafavi



Il 1972 vede dunque l’uscita di due album. Il primo è Umanamente uomo: il sogno, ad aprile; il secondo è Il mio canto libero, considerato da molti il ​​suo massimo capolavoro, un novembre.

È evidente che, al di là della qualità dei brani, siamo di fronte a un autore dalla fecondità prodigiosa, perché fino a quel momento aveva composto e prodotto, oltre alle sue canzoni, tantissimi pezzi per altri gruppi e cantanti, in totale stato di grazia. Prima di “smettere”, Battisti offre una delle canzoni chiave del suo nuovo album, ovvero quella che gli dà il titolo, a Mina, che però declina l’invito.

IL PUNTO D’EQUILIBRIO

Il bello è che tra un disco e l’altro c’è una notevole differenza. In pochi mesi, non solo Battisti sembra aver cambiato prospettiva, ma è evidente che ha anche trovato un clamoroso punto di equilibrio fra le tre correnti musicali che lo attraversano – il rock, il soul e il pop –, lo si sente dalle prime note della Luce dell’Est.

L’arpeggio di chitarra progressive si stempera in una ballata pop, che da una parte ha un retaggio folk, dall’altra, nell’inciso, si apre a un pop raffinato di stampo internazionale, prima di arrivare a un ritornello, indimenticabile, nel quale la melodia “italiana” la fa da padrona.

È un crescendo, in cui Battisti canta anche in maniera diversa, più “educata”, più lieve. Il testo è un classico alla Mogol: come accade in molte altre canzoni, ha due tempi distinti, una parte è al presente e un’altra è legata a memorie del passato. Ci sono un amore sfuggito e lontano e un amore attuale, importante, al quale va la mente; mente in cui i pensieri fuggono per lasciare il posto al volto dell’amata.

Le transizioni dalle memorie all’attualità, segnata nel testo da un ramo calpestato e poi da un colpo di fucile, passaggi evidenziati da una sospensione musicale altrettanto intensa, rendono tutto cinematografico, ancora una volta vissuto, come spesso nei testi di Mogol, “in diretta”.

Grande emozione, introduzione perfetta a un disco che questa volta non ha un “concept”, un discorso da seguire attorno a un tema. Ma l’album è allo stesso tempo “unitario”: sembra mosso da un unico sentimento che in qualche modo lega una canzone all’altra.

Il legame, lo capiamo, è forse difficile da comprendere a un primo sguardo, perché dopo La luce dell’Est arriva Luci-ah, che sembra portare l’ascoltatore a un clima completamente diverso.

Il testo è ironico, il tema è ancora la libertà di una donna che decide quello che vuole essere e chi vuole amare, probabilmente in un piccolo paese, dove viene vista come una minaccia peccaminosa e forse addirittura infernale, e che ovviamente gode della simpatia di chi canta.

Tuttavia è la musica che conta, e il taglio del brano è “british”: in linea con quello che sta avvenendo nel pop inglese, ha un sound contemporaneo e leggero, ma anche qualche complicazione ritmica. Per registrarla provano ben tre batteristi diversi, senza riuscire a fare la cosa giusta, e alla fine “vince” Gianni Dall’Aglio.

Dal sentimento all’ironia, per tornare all’amore e all’interiorità con la sua interpretazione del brano precedentemente affidato a Bruno Lauzi, L’aquila, che diventa misterioso, notturno, contemporaneo nella sua scarna essenzialità.

UNA DELLE PIÙ BELLE

Già così potremmo dire che si tratta di un album intenso e grandioso. La prima canzone è cinematografica e romantica, la seconda diverte e ha una funzione preparatoria prima all’intensità oscura dell’Aquila e poi a un micidiale colpo d’ala, un pezzo che è uno dei più grandi capolavori della canzone italiana: Vento nel vento, brano che spesso, troppo spesso, viene dimenticato, o quantomeno non inserito nella top ten dei migliori o più importanti brani di Battisti.

Il disco, infatti, viene ricordato per La luce dell’Est, Il mio canto libero e Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi, che oscurano il resto dell’album.

Ma, lasciatemelo dire, nonostante le radio non la trasmettano, nonostante non venga suonata davanti ai falò (anche perché oggettivamente impossibile, tra l’altro, dato che oggi non si suona più sulle spiagge davanti ai fuochi, che non si possono accendere…), Vento nel vento è una delle più belle canzoni italiane mai scritte.

È una struggente ballata che parla d’amore. Descrive un amore che salva un uomo, che annulla la solitudine, che fa scomparire le paure, le sofferenze, e spinge verso la rinascita.

Ma se già il testo di Mogol è perfetto, sono la musica e l’interpretazione di Battisti a rendere la canzone coinvolgente, emozionante in ogni sua parte. È un crescendo costruito con toni maggiori e sorprendenti aperture in tono minore; prima c’è solo il pianoforte, poi un organo, dopo l’orchestra arrangiata da Gian Piero Reverberi, e quindi ancora la voce di Battisti, che conclude il brano.

Difficile non essere emozionati all’ascolto, difficilissimo non cogliere l’incredibile equilibrio musicale tra passato e presente, la modernità di Battisti portata in una dimensione melodica apparentemente tradizionale, esaltata dalla parte orchestrale. Lo ripetiamo: è un capolavoro, una canzone bellissima, fuori dal tempo, dalle mode, emozionante in modo completo. Vale la pena ascoltarla almeno una volta alla settimana, poiché riesce a farci capire meglio dov’è la musica oggi, cosa cerca e cosa vuole, cosa può essere la bellezza e quanto può aiutare la nostra vita, perché parla d’amore in una maniera potente e coinvolgente, vera e unica. 

IL DIVERTIMENTO 

Ancora due curiosità. L’assolo di archi lo potete trovare citato in un altro capolavoro, La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori; mentre alla chitarra, vuole la leggenda, non ascolterete un giovanissimo Umberto Tozzi, all’epoca turnista alla Numero Uno, che arrivò a suonarla nei provini ma fu scartato e non partecipò alla registrazione finale.

Chissà se la carriera di Tozzi sarebbe stata la stessa se avesse suonato la chitarra in Vento nel vento

Ma non è finita: c’è un nuovo momento di divertimento, Confusione, pezzo rock ritmato e chitarristico, che non a caso vede la presenza dell’elettrico Radius. È ancora una canzone sulla “confusione” sentimentale di Mogol, ma chiarissima dal punto di vista musicale perché è una perfetta indicazione di come la canzone italiana possa dialogare tranquillamente con il rock.

E il divertimento serve ad arrivare a un altro capolavoro, Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi. Impossibile immaginare questa canzone realizzata in un altro modo.

(…)


Il testo è un estratto da Lucio Battisti, Mondadori, 2023

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https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/ernesto-assante-vento-nel-vento-lucio-battisti-f5zv8pl7

L’estate dei The Kolors Il loro “Italodisco” è il re dei tormentoni

30 Agosto 2023 – 06:00

I Power Hits all’Arena di Verona chiudono la stagione del pop. Come il Festivalbar

Paolo Giordano

D’altronde non avrebbe potuto essere diversamente: Italodisco dei The Kolors è il re dei tormentoni dell’estate 2023. La consacrazione ufficiale è arrivata ieri sera all’Arena di Verona durante i Power Hits Estate organizzati da Rtl 102.5 e presentati da Paola Di Benedetto, Jody Cecchetto e Matteo Campese. È l’appuntamento che sostanzialmente raccoglie l’eredità del Festivalbar e chiude in modo simbolico l’estate del pop proprio come per decenni ha fatto la manifestazione ideata da Vittorio Salvetti. Insomma da oggi i The Kolors sono nell’elenco prestigioso di chi, dagli anni Sessanta in avanti, ha firmato con la propria canzone la stagione più musicale dell’anno. Da Lucio Battisti a Umberto Tozzi. Da Alan Sorrenti a Vasco Rossi ai Lùnapop fino ai Negramaro che nel 2007 sono stati gli ultimi a conquistare il trono del Festivalbar. Da qualche anno tocca ai Power Hits che hanno la stessa clamorosa capacità attrattiva visto che ieri sera la lista di ospiti sul palco era sterminata e basta soltanto qualche nome per rendere l’idea: Achille Lauro e Rose Villain, Boomdabash con Paola & Chiara, Colapesce Dimartino, Cristiano Malgioglio ft. Bungaro, Emma, Fabio Rovazzi e Orietta Berti, Fedez, Annalisa, Articolo 31, Irama e Rkomi, Marco Mengoni e Elodie, Pinguini Tattici Nucleari, Tananai e ovviamente The Kolors. Ospite a sorpresa Laura Pausini, che ha conquistato con Antonacci, Pezzali, Negramaro e Pooh, il premio «Power Hits Platino».

Altri premi a Lazza per l’album più venduto dell’anno (Sirio) e a Peggy Gou per il singolo indipendente più trasmesso dalle radio (It goes like – Nanana). Anche Annalisa è stata giustamente premiata. Se il suo brano con Fedez e Articolo 31 non ha vinto la sfida, lei è comunque la regina dell’estate visto che il suo Mon Amour è il brano più eseguito in tutti gli eventi musicali italiani dal 19 giugno al 25 agosto. Un dominio innegabile che ieri sera è stato riconosciuto anche dalla Siae dopo essere entrato di diritto nel linguaggio comune grazie al verso sempre più citato: «Ho visto lei che bacia lui, che bacia lei, che bacia me».

In poche parole, i Power Hits sono stati una festa di fine stagione. Ma anche una conferma dei tempi musicali che stiamo vivendo. Da qualche anno la musica più ascoltata in Italia è quella italiana e ogni settimana ci sono le classifiche a confermarlo senza ombra di dubbio. E proprio le classifiche hanno incoronato i The Kolors con Italodisco che è il più trasmesso dalle radio e per dieci settimane è stato in testa alla classifica dei brani più votati dagli ascoltatori di Rtl 102.5. Un successo incontestabile che può rappresentare anche un segnale di controtendenza da non sottovalutare. In una fase musicale dominata da urban e rap, Italodisco è una canzone più legata alla tradizionale melodia italiana, è suonata e cantata senza inciampi nell’autotune e anche nel testo ha bei riferimenti all’immaginario collettivo. «Ognuno tra i pensieri suoi, forse sì, forse no, mi parte il basso dei Righeira». «Questa non è Ibiza, Festivalbar con la cassa dritta». «Vorrei spiegarti quanto mi manca Moroder nell’anima». (…)

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Mogol in piazza Unità d’Italia a Fagagna

Venerdì 30 agosto, il maestro, intervistato da Renato Pontoni, proporrà un viaggio intimo e confidenziale, svelando al pubblico aneddoti sulla genesi e la storia che si nasconde dietro le sue canzoni, ma anche curiosità della sua vita artistica

Mogol in piazza Unità d\u0027Italia a Fagagna

«Sotto questo cielo, solo tu resisti, sei come una canzone di Mogol e Battisti». Così, nel 2006, la poliedrica Mina omaggiava due grandi cantautori che hanno segnato la storia della musica italiana.

Questo lungo e fortunato sodalizio artistico verrà raccontato dallo stesso Mogol, venerdì 30 agosto alle 21.30 a Fagagna all’interno del ricco programma dei festeggiamenti settembrini. Il maestro, affiancato dalla “Emozioni per Sempre” Mogol&Battisti Tribute Band, offrirà uno spettacolo davvero unico in una chiacchierata insieme con Renato Pontoni tra musica e parole. Sarà un’occasione imperdibile per rivivere la magia di quelle canzoni che hanno fatto sognare generazioni di italiani.

In “Mogol racconta Mogol”, questo il titolo dello spettacolo, l’autore effettuerà un viaggio intimo e confidenziale, svelando al pubblico aneddoti sulla genesi e la storia che si nasconde dietro le sue canzoni, ma anche curiosità della sua vita artistica. Una vita che inizia a Milano il 17 agosto del 1936, quando nasce Giulio Rapetti, figlio d’arte di Mariano, al tempo direttore di un’importante casa editrice musicale. Il giovane Giulio cresce nell’ambiente della musica e, seguendo le orme del padre, inizia l’attività di paroliere nel 1955. La Siae gli chiede quindi un elenco di pseudonimi, da cui scegliere un nome d’arte, e lui gliene propone ben 120. Di questa lunga lista la società sceglierà “Mogol”, pseudonimo con il quale firmerà il suo primo testo nel 1960, “Briciole di baci”, interpretato proprio dalla grande Mina. Il vero successo arriva però l’anno seguente, con la vittoria al festival di Sanremo grazie al brano “Al di là”, canzone interpretata da Luciano Tajoli e Betty Curtis. L’incontro chiave con l’allora poco conosciuto Lucio Battisti, avviene poi nel 1965, anno che segna l’inizio di un cammino costellato di successi, interrotto negli anni ’80 a causa di controversie economiche. Il contributo alla musica leggera italiana dell’autore, però, non si limita ai brani senza tempo interpretati da Battisti come “Mi ritorni in mente”, “La Collina dei Ciliegi”, “Con il Nastro Rosa” o “Un’avventura”. Hanno, infatti, inciso canzoni da lui scritte, fra gli altri, Caterina Caselli con “Sono Bugiarda”, l’Equipe 84 con l’intramontabile “Io ho in mente te”, Fausto Leali con “A chi”, Bobby Solo con la famosissima “Una lacrima sul viso”, Little Tony di cui tutti ricordano “La spada nel cuore” o “Riderà”, ma anche Mango, Riccardo Cocciante, Umberto Tozzi e molti altri ancora.

L’invito a uno spettacolo imperdibile è quindi per questo venerdì (non sabato 31 come da programma in quanto, a causa di un impegno dell’autore, il concerto è stato anticipato alla serata del 30 agosto). Tutti pronti ad emozionarsi alle 21.30 in piazza Unità d’Italia a Fagagna. L’ingresso è gratuito e in caso di maltempo l’evento si svolgerà nella Sala Vittoria.

Per informazioni e per riservare un posto a sedere è possibile inviare una email all’indirizzo info@prolocofagagna.it o telefonare allo 0432801864.

by: https://www.ilfriuli.it/articolo/spettacoli/mogol-in-piazza-unita-ditalia-a-fagagna-/7/205169

Guido Guglielminetti live ad Alessandria con il cantautore Stona

 Lunedì, 21 Gennaio 2019 – 

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ALESSANDRIA – Serata davvero speciale venerdì 25 gennaio nella casa della musica d’autore per eccellenza di Alessandria, con un grande protagonista della musica italiana, Guido Guglielminetti. Bassista, arrangiatore e produttore musicale ormai da oltre trent’anni al fianco di Francesco De Gregori, presenterà il suo libro biografia “Essere..basso” , e racconterà dei suoi ultimi incredibili quarant’anni di musica, dei suoi inizi da Lucio Battisti e Ivano Fossati a Umberto Tozzi, Loredana Bertè, Lucio Dalla, Mina, De Gregori, in un botta e risposta con Enrico Deregibus, giornalista e direttore artistico italiano che si occupa di numerose manifestazioni di carattere musicale in qualità di direttore artistico, consulente o responsabile della promozione. Accompagnato da amici e colleghi musicisti, Guglielminetti ripercorrerà anche in un breve live acustico alcuni passaggi fondamentali della sua carriera di autore e compositore.

Nella seconda parte della serata Stona, presenterà il suo album Storia di un equilibrista, prodotto dallo stesso Guido Guglielminetti. L’album, pubblicato da Volume! Discografia moderna in partership con L’Altoparlante Ufficio Stampa, ha portato Stona in ottima posizione nella Indie Music Like con due singoli come la stessa “storia di un equilibrista” e “santa pazienza”. Stona sarà accompagnato sul palco da Alessandro Toselli al piano, GIanluca Vaccarino alla chitarra, Luca Furfaro al basso e Andrea Dallavalle alla batteria.

GUIDO GUGLIELMINETTI: Inizia a suonare alla fine degli anni sessanta nel Patrick Samson Set, il complesso che accompagna il cantante di Soli si muore, in cui ricopre il ruolo di bassista insieme a Umberto Tozzi alla chitarra ed Euro Cristiani alla batteria. A partire dal 1972 comincia la sua carriera di turnista in supporto di molti rinomati cantautori e interpreti della canzone italiana, tra i quali Lucio Battisti, Ivano Fossati, Umberto Tozzi, Mia Martini, Francesco De Gregori, Luigi Grechi, Giovanna Marini. Ha composto la musica per diverse canzoni tra le quali sono da ricordare Un’emozione da poco (testo di Ivano Fossati) interpretata da Anna Oxa, La nave (Mina), Tivùcolor e Notte che verrà (Loredana Bertè), Anna e Un’altra donna per Carlos Cosmo (con i testi di entrambi i brani scritti da Valerio Liboni), Biancaluna” scritto con e per Gianmaria Testa. Dal 1985 è il “capobanda” dell’ensemble di musicisti che accompagna dal vivo Francesco De Gregori. Insieme ad alcuni di essi ha dato vita al progetto Block Alchimia autori dello spettacolo Luoghi d’affezione.

STONA: cantautore piemontese si fa notare fra i vincitori di “Una voce per Sanremo 2008” venendo inserito nella compilation del contest prodotta da Areasonica; firma quindi per la SongMusicOne di Lisa con cui pubblica il suo primo Ep e nel 2009 è sul palco del Teatro Tenda di Roma insieme a tanti artisti fra cui Riccardo Sinigallia (ex Tiromancino) e la stessa Lisa. Nel 2010 è sul palco dell’Isola in Collina, manifestazione/evento tributo a Luigi Tenco dove apre il concerto della Bandabardo’; sempre nel 2010 è sul palco del Livorno Rock Village e a Milazzo in occasione del Festivalpub Italia.
Pubblica negli anni alcuni singoli per arrivare a Maggio 2017 con le nuove sonorita’ di “Estate senza preavviso”, brano prodotto da Nicolo’ Fragile e Davide Bosio; con il brano “Belladonna” inizia la collaborazione artistica con Guido Guglielminetti, bassista, produttore e capobanda storico di Francesco De Gregori; proprio con “Belladonna” Stona vince il Biella Festival 2017 e il premio “promotour” di Nuovo Imaie.
A Maggio 2018 Stona vince il P.A.E. Premio Autori Emergenti in occasione dei FIM AWARDS 2018 con il brano “Troppo pigro”; a Giugno inizia un tour acustico che lo porta in giro per parecchi locali e club concludendo l’esperienza acustica all’ “Imperia Unplugged Festival “, dove apre il concerto di L’Aura e Nathalie, occasioni queste per presentare le nuove canzoni che andranno a comporre l’album di inediti prodotto dal Maestro Guido Guglielminetti.
Il 16 novembre 2018 esce infatti “Storia di un equilibrista” album di esordio di STONA in partnership con L’Altoparlante Ufficio Stampa/Volume! Etichetta discografica. Il disco è preceduto dai due singoli “Storia di un equilibrista” e “Santa Pazienza” che gli consentono di piazzarsi subito molto bene nella Indie Music Like redatta settimanalmente dal MEI.

https://www.paviapiu.it/guido-guglielminetti-live-ad-alessandria-con-il-cantautore-stona/

 

 

Vent’anni senza Lucio Battisti. Il ricordo commosso di Umberto Tozzi

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Immancabili gli omaggi da parte di personaggi del mondo della musica. Mogol ha rilasciato svariate interviste su di lui, nel corso degli anni e in occasione del ventennale dalla morte. Restando in ambito social però, Umberto Tozzi ha voluto omaggiarlo con un messaggio e un particolare filmato, nel quale lo si vede interpretare una sentita cover: “20 anni fa ci lasciava l’immenso Lucio. Che anno è, che giorno è? Questo è il tempo di vivere con te”.

https://dilei.it/vip/fotonotizia/lucio-battisti-ricordo-vip/561318/attachment/ventanni-senza-lucio-battisti-il-ricordo-commosso-di-umberto-tozzi/

Canzoni italiane dedicate alle donne: Iris, Sally, Francesca e le altre

Tanti cantanti italiani hanno dedicato una canzone ad una donna. Riascoltiamo le 15 canzoni in cui la protagonista è una lei.

Foto: Lucio Battisti  – Credit: © Mondadori

07 Agosto 2017 | 10:45 di Eleonora Gasparella

Quante volte l’amore e l’affetto nei confronti di una donna sono stati oggetto di una canzone? Non si contano nemmeno! I nomi femminili che hanno dato il titolo a canzoni italiane sono tantissimi: dai più utilizzati, Anna e Giulia, fino a nomi più particolari come Iris, la protagonista del famoso brano di Biagio Antonacci.

I nomi più usati nelle canzoni italiane: Marco e Laura in vetta

Il maggior numero di canzoni dedicate a un nome femminile si trovano nella discografia di Lucio Battisti, di Antonello Venditti e di Vasco Rossi. Non sempre però il rapporto con queste donne è semplice, spesso a rivolgersi a loro sono uomini tormentati e quasi ossessionati da quel nome che rimane in testa e non se ne va.
Capita anche che legato a queste donne ci sia un sospetto tradimento, come nel caso di Non è Francesca oppure una storia difficile, come quella della determinata Mary, protagonista del pezzo dei Gemelli Diversi.
Vediamo alcune delle più belle canzoni italiane il cui titolo è un nome di donna, ognuna di esse racconta una storia e una protagonista diversa.

La Berté contro i discografici, Battisti furioso e il primo incontro con De Gregori: i racconti di Guglielminetti

La Berté contro i discografici, Battisti furioso e il primo incontro con De Gregori: i racconti di Guglielminetti

Non è facile individuare il basso, quando si ascolta una canzone o di assiste all’esibizione di un gruppo: il bassista, di solito, se ne sta defilato, mantiene un profilo basso (appunto), non ambisce ad esibirsi in assoli come magari fanno i chitarristi. Anche se rimane un passetto indietro rispetto agli altri strumenti, però, il basso tiene le fila dell’intero gruppo, perché è lo strumento che fa da collante, quello che dà il riferimento armonico e ritmico: quando manca il basso, cade tutta l’impalcatura. Guido Guglielminetti, da buon bassista, è stato silenzioso protagonista di alcune pagine importanti della storia della musica italiana: classe 1952, nel corso della sua carriera ha collaborato con – tra gli altri – Umberto Tozzi, Lucio Battisti, Ivano Fossati, Loredana Berté e Francesco De Gregori. Ora ha raccolto aneddoti e racconti in un libro, intitolato “Essere… basso – Piccole storie di musica”, edito da L’ArgoLibro Editore: un volumetto di 140 pagine che si fa leggere piuttosto volentieri, che non contiene tecnicismi o teorie astratte sulla musica ma solamente racconti delle esperienze e delle collaborazioni di Guglielminetti con i personaggi che ha avuto modo di

Perché un libro?
Ho sempre scritto piccoli racconti. Ne avevo pubblicati un paio sul mio sito e avevo notato che erano stati accolti con un certo interesse. Scrivere un libro, però, mi sembrava un’idea paradossale, perché la parola “scrittore” mi incuteva un certo timore. Ciò nonostante, ho deciso di seguire i suggerimenti di alcune persone, di raccogliere tutti i racconti che avevo scritto e di cercare una casa editrice interessata a pubblicarmi. Non avevo in mente né un’autobiografia né un’autocelebrazione, ma una sorta di fumetto senza disegni, una cosa leggera.

Il racconto parte dalla parrocchia di Torino in cui, verso la fine degli anni ’60, hai cominciato a suonare insieme a Umberto Tozzi. La vostra collaborazione proseguì fino alla fine degli anni ’70, poi le vostre strade si divisero: come mai?
Per una serie di ragioni, non personali, nel corso degli anni ci siamo un po’ persi ognuno nelle proprie attività. È rimasto l’affetto, l’amicizia e la stima, ma non abbiamo avuto più occasione di incontrarci. Sono convinto, però, che se ci incontrassimo domani sarebbe come se tutto il tempo trascorso non fosse davvero trascorso.

Ben presto arrivò per te un’esperienza molto importante: la partecipazione, nel 1972, alle registrazioni dell’album “Il mio canto libero” di Lucio Battisti. Cosa ricordi delle lavorazioni di quel disco?
Trascorsi una settimana in studio con Battisti e gli altri musicisti che presero parte alle registrazioni di “Il mio canto libero”. Il primo giorno arrivai con mezz’ora di ritardo: all’epoca gli studi di registrazione costavano molto e arrivare con mezz’ora di ritardo era piuttosto grave. Battisti era al telefono con la casa discografica, voleva che gli procurassero un altro bassista, ma poi mi vide arrivare e si tranquillizzò. Ricordo che nella sala c’erano alcune cabine, all’interno delle quali stavano i musicisti: Battisti era nella cabina alla mia sinistra, con la chitarra acustica e il microfono per la voce. Ma io ero troppo timido, avevo 19 anni e sul momento non avevo la percezione di quello che stava accadendo: i miei contatti con Battisti non andarono mai oltre il lavoro in studio di registrazione e compresi l’importanza di quell’esperienza solo qualche anno dopo.

Ma come prendevano forma le canzoni? Gli arrangiamenti erano già pronti oppure si improvvisava?
No, era tutto lavoro di improvvisazione. Battisti ci suonava il pezzo con la chitarra e noi gli andavamo dietro, ricavando gli accordi. Si registrava tutto in diretta e spesso venivano tenute proprio le prime versioni.

Nel 1973, un anno dopo l’esperienza con Battisti, hai suonato nell’album “Poco prima dell’aurora” di Ivano Fossati e Oscar Prudente: iniziò così la sua collaborazione con Fossati, che – tra le altre cose – produsse anche “Un’emozione da poco”. Come nacque quella canzone?
In maniera del tutto “easy”, come dicono gli inglesi. Nel 1977 Fossati viveva a Roma e divideva un appartamento con Rodolfo “Foffo” Bianchi, produttore e arrangiatore interno alla RCA, che un giorno chiese ad Ivano se avesse un pezzo per una ragazza nuova che stava producendo. Ripescai alcuni appunti che avevo tenuto da parte in una musicassetta: Ivano assemblò tra loro due cose che a me sembravano due pezzi diversi e scrisse il testo. Andammo a far sentire il risultato di questo lavoro alla RCA e loro ne furono entusiasti. Incaricarono il Maestro Ruggero Cini di scrivere l’arrangiamento della canzone, che la ragazza – Anna Oxa, allora sedicenne – presentò in gara al Festival di Sanremo nel 1978.

Ti è piaciuta la cover che Paola Turci ha proposto quest’anno al Festival di Sanremo?
Mi ha fatto un grandissimo piacere, non solo perché l’ha eseguita ma anche per come l’ha eseguita: è stata un’interpretazione bellissima e l’arrangiamento era fedele a quello originale. E pensare che io e Ivano siamo stati le ultime persone a credere in “Un’emozione da poco”: eravamo talmente poco convinti di quella canzone che non andammo neanche a Sanremo, l’anno della partecipazione della Oxa.

Da Fossati ad Anna Oxa, arrivando a Loredana Berté: come fu lavorare con lei?
Anche quello fu un bellissimo periodo, molto divertente. Il modo di essere di Loredana, che è quasi sempre esagerato e aggressivo, nasconde un cuore grande. E purtroppo, questo suo modo di essere ha portato danno solo a lei, immeritatamente: perché Loredana è una grande artista ed è sempre stata dieci passi avanti a tutti. Frequentava molto New York, girava il mondo e portava le nuove tendenze e le nuove realtà nei suoi dischi, sia a livello di suono che a livello di look e di immagine…

Loredana, nel suo libro, racconta che i discografici italiani non erano sempre convinti delle sue intuizioni: quando, nel 1984, gli propose l’album di cover in lingua italiana delle canzoni di Djavan, furono molto scettici. Quell’album, “Carioca”, fu prodotto proprio da te: è vero che ci furono perplessità?
Sì, è vero, perché lei, essendo sempre stata molto avanti, era difficile da capire. Aveva idee spesso rivoluzionarie, ma un carattere difficile: e anche i discografici facevano fatica a starle dietro. Fortunatamente, però, c’erano alcune persone “illuminate” che le davano retta e lo facevano a proprio rischio e pericolo. Il bello di questa cosa era che lei si esprimeva male, ma aveva ragione: l’idea di incidere i pezzi di Djavan non l’aveva fatta ancora nessuno, in quel modo lì. Certo, Ornella Vanoni si era avvicinata più volte al mondo brasiliano, ma aveva privilegiato i classici. Loredana, invece, fece tradurre i brani di Djavan da Enrico Ruggeri e Bruno Lauzi e ne venne fuori un album bellissimo. Inizialmente la produzione venne affidata a un produttore brasiliano, ma Loredana lo cacciò e quindi in cabina di produzione ci alternammo io e Elio Rivagli.

Del primo incontro con De Gregori, invece, cosa ricordi?
Una persona alta, austera, e una personalità che intimidiva molto. Ci incontrammo la prima volta nel 1985. Fu lui a cercarci: gli erano piaciute le sonorità che avevamo espresso nell’album “Ventilazione” di Ivano Fossati e quindi invitò me, Elio Rivagli, Gilberto Martellieri e Ivano a partecipare alle lavorazioni di “Scacchi e tarocchi”. Inizialmente fu un po’ scioccato dall’impatto energetico che portammo nei suoi brani: poi, poco per volta, se ne innamorò.

Nel 1985 De Gregori aveva già pubblicato album come “Rimmel”, “Bufalo Bill” e “Titanic”: conoscevi quei dischi oppure non avevi seguito quella che, fino a quel momento, era stata la sua carriera?
Non lo seguivo, per mia ignoranza. Ero molto prevenuto nei confronti del mondo dei cantautori come De Gregori e Guccini. Ascoltavo soprattutto musica straniera: per me esistevano solo i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin, Jimi Hendrix. Fu Battisti, con quel suo modo innovativo di cantare le parole, a farmi avvicinare alla “musica leggera”, che poi così “leggera” non era.

Parlando dei “classici” di De Gregori, nel libro scrivi: “Sono molto più rivoluzionari della media dei brani che ascoltiamo in radio oggi”. In che senso?
Nel senso che quello che io apprezzo di lui, tra le altre cose, è il fatto di non essersi chiuso in un cliché e fare cose che escono fuori dai suoi standard. Uno che ha scritto una canzone come “La donna cannone” potrebbe tranquillamente inserire il pilota automatico e scrivere cose analoghe, sapendo – sulla carta – che venderebbe comunque. Ma siccome lui questo mestiere non lo fa per il denaro, ma perché è la sua passione, è sempre alla ricerca di qualcosa che lo stimoli.

È per questo motivo che rivisita sempre i suoi brani, dal vivo?
Esatto: non vuole far diventare un concerto l’esecuzione di un disco. In questo è più rivoluzionario e attuale di tante persone che cominciano a scrivere adesso: oggi c’è molta paura nel cercare di uscire dai cliché, perché i dischi non vendono e si cerca di rimanere dentro i binari per cercare di vendere, a scapito della musica e della creatività.

È vero che siete al lavoro sul nuovo album di inediti, il primo dopo “Sulla strada” del 2012?
Partiamo dal presupposto che tutti noi della band abbiamo la grande fortuna di divertirci ad ogni concerto: salire sul palco e suonare per due ore è come fare ricreazione e questo ci manca molto, ora che siamo fermi. Abbiamo trascorso gli ultimi tre anni sempre in tour e già qualche mese prima dell’annuncio della pausa Francesco mi aveva confidato le sue preoccupazioni: “Non vorrei arrivare al punto di vedere che la gente non viene più perché non abbiamo niente di nuovo da proporre”. E così è stato costretto a prendersi una pausa, anche se in realtà non avrebbe voluto fermarsi. Mi aveva detto di voler scrivere qualcosa per tornare in pista e io mi auguro che stia scrivendo nuovi pezzi. A ottobre, intanto, ripartiremo con una serie di concerti in Europa, poi vedremo cosa succederà.

di Mattia Marzi

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Franco Daldello e cinquant’anni di storia della musica italiana – INTERVISTA

Franco Daldello

di Athos Enrile

Poter chiacchierare con Franco Daldello è stato per me un grosso privilegio.

Dopo pochi minuti di conversazione mi sembrava di essere assieme ad un vecchio amico, e mi riferisco alla semplicità con cui mi ha sintetizzato cinquant’anni di storia della musica italiana.

Lui, è l’uomo che, dopo un pò di gavetta alla Ricordi diventa socio dei Rapetti – padre e figlio – e di Battisti alla Numero Uno; e poi alla Sugar, e poi anni importanti alla Peermusic, multinazionale americana di cui è stato Amministratore Delegato.

Cinquant’anni di vita, cinquant’anni di storia e cultura nostrana, il tutto condensato nell’intervista a seguire, che mi pare rappresenti la perfetta immagine di quanto è accaduto nel recente passato, percepito dalla massa come effetto, ma per pochi eletti vissuto in prima persona da protagonisti, da creatori, da innovatori.

Credo che Franco Daldello sia un nome conosciuto solo tra gli addetti ai lavori, solo perché, seguendo la propria indole, ha svolto il suo lavoro dietro al banco di regia, lasciando ad altri la piena visibilità. La mia impressione è che qualunque lavoro Franco avesse scelto – un tempo esisteva la possibilità  di cernita – il suo modo di vivere, professionale e oltre, non sarebbe cambiato.

Abituati alle figure del presente, all’urlo imperante, alle distorsioni della tecnologia, una figura come quella di Daldello mi è sembrata quasi didattica, rassicurante, da prendere ad esempio. Certo, il mondo musicale da lui vissuto non esiste più, ma è bene raccontare ai giovani che c’è stato un tempo in cui…

 FrancoDaldello

 

Mi piacerebbe sviscerare un pò la tua carriera professionale, visto che è stata lunga e piena di eventi significativi in ambito musicale.

Partiamo dal fatto che, dal punto di vista professionale, mi sono sempre ritagliato un ruolo secondario, senza cercare la visibilità, ma gli eventi accumulati sono tanti, e nel racconto che posso creare oggi, a posteriori, rischio di diventare prolisso, magari ingigantendo certi successi ottenuti, ma ci tengo a sottolineare come i traguardi che ho raggiunto in gioventù siano sempre stati frutto di una squadra coesa… il team funziona sempre se al suo interno si è ascoltati. Io ho fatto 50 anni esatti di professione, partendo dal ruolo più basso, dal “ragazzo di bottega”, entrando alla Ricordi il 1 aprile 1964, proprio quando Bobby Solo era l’idolo del momento con “Una lacrima sul viso”, appena presentata a Sanremo, e regnava l’euforia conseguente al successo di vendita.

Ma come sei arrivato alla Ricordi? Passione per la musica, semplice opportunità di lavoro o entrambe le cose?

Nell’ultimo libro di Mogol c’è un accenno a come io entrai nell’azienda.

Il giovane Mogol all’epoca si spostava a Roma come rappresentante della Ricordi, perché gli editori, esistendo allora solo la RAI (che prevedeva l’esistenza di commissioni di ascolto, barriere varie, censura…) si spostavano per portare le novità e convincere i programmatori radiofonici – antesignani dei D.J. – di proporle nei vari programmi disponibili, nella speranza che diventassero dei successi attraverso la promozione radio. In questo frangente lui conobbe mio papà, musicista (violinista), abbastanza quotato negli anni’20 in ambito jazz (mio padre era nato nel 1900), che ai quei tempi era diventato anch’esso un programmatore radio. Un giorno tornarono a Milano insieme, e nel corso del viaggio ci fu tempo per parlare in modo approfondito, e mio padre gli raccontò, anche, di me. Successivamente lo conobbi perché venne a casa nostra. Io facevo ragioneria in uno stabile vicinissimo agli uffici della Ricordi e, avendo una buona libertà (i miei erano separati e mio padre lavorava lontano) spesso sceglievo di non frequentare le lezioni per andare a trovare Mogol in ufficio. Stiamo parlando di un giovanissimo Mogol, che però aveva già vinto Sanremo nel ’61 con “Al di là”, una canzone non certo amata da noi giovani: diventammo amici e iniziammo a frequentarci con una buona periodicità.

Dopo il diploma trovai subito lavoro come impiegato in un’azienda, ma il tipo di attività mi procurava una discreta angoscia; un giorno Mogol favorì un incontro con suo papà, Mariano Rapetti, all’epoca amministratore delegato della Ricordi – una grande figura, il mio maestro, sia professionalmente che umanamente – che mi propose di lavorare con lui, specificando che negli ultimi due anni erano state provate 4-5 persone nello stesso ruolo, ma senza successo, quindi rischiavo di rimanere senza alcun lavoro, nel caso avessi fallito anche io. Entrai quindi nel 1964, uscendone poi a fine giugno 1969, ricominciando a settembre nella neonata Numero Uno come socio, assieme ai Rapetti, padre e figlio: partendo dal ruolo più modesto in azienda, dopo sei anni, mi ritrovavo socio della Numero Uno, con tutti i personaggi storici conosciuti di cui sai.

Quindi il passaggio alla Numero Uno fu una promozione?

Certo; io nel frattempo avevo avuto altre offerte, anche molto vantaggiose economicamente, ma Mogol, oramai in disaccordo con l’establishment della Ricordi, mi espose il progetto che aveva in mente, ed io rimasi affascinato dall’occasione che mi si prospettava davanti, un vero cambiamento, che mi avrebbe portato a contatto con artisti di spessore, Lucio Battisti su tutti.

Questo tuo primo periodo lavorativo/formativo ti ha dato delle buone soddisfazioni?

Moltissime. Devi sapere che quando diedi le dimissioni dovetti dare anche il preavviso, che era di tre mesi. In quel periodo – ma erano altri tempi – riuscii a piazzare un centinaio di brani… mi viene in mente “Non credere” di Mina. Di quei giorni mi è rimasto nel cuore il mio rapporto con Luigi Tenco; ricordo che Mogol fece il testo di tre canzoni che poi furono musicate da Tenco; io, col pianista Aldo Rossi andai allo Studio Zanibelli, ora di Mauro Pagani, e realizzammo tre provini – pianoforte di Rossi e voce di Tenco – e uno dei tre era “Se stasera sono qui”.  Tenco ebbe grande successo soprattutto dopo la sua morte, e ricordo che a quei tempi mi rimproverava di non piazzare mai le sue canzoni. Successivamente riuscii a convincere Guido Rignano e Lucio Salvini a rispolverare quel provino inedito, che poi ebbe il successo che sai con Wilma Goich.

Ma cosa era il tuo, talento o il trovarsi al posto giusto al momento giusto o… anche un pò di fortuna?

Beh, la fortuna è ovviamente una componente importante, ma occorre pensare che all’epoca, quando tutte le case discografiche erano di proprietà italiana, esisteva una vera e propria scuola formativa, e riguardando indietro e pensando al mio ruolo non ero certo un’eccezione, erano tanti quelli bravi e attivi, capaci di scoprire ottimi artisti; ogni casa discografica possedeva una fucina di talenti dal punto di vista manageriale – talent scout, editori, autori, e vorrei sottolineare il ruolo di alcuni miei… coetanei,  come Adriano Solaro, ex Presidente della Warner Chappell, e Michele Del Vecchio, ex proprietario della Come il Vento, editore di Baldan Bembo, Maurizio Fabrizio e altri.

Stai parlando di funzioni che non esistono più o sono largamente ridimensionate, sostituite dai talent…

E’ vero; il mio ultimo fiore all’occhiello, parlando da artigiano – come mi sono sempre considerato – l’ho realizzato quando, senza casa discografica che mi permettesse attività di promozione, per sei anni, assieme ai miei collaboratori abbiamo lavorato con Raphael Gualazzi, musicista in cui credevamo; lo presentai a Sanremo due volte senza successo, e alla fine mi decisi: dopo avere fatto otto provini di qualità li proposi a Caterina Caselli Sugar, che capì subito che poteva essere un artista giusto per la sua etichetta e lo portò al festival, dove Gualazzi vinse nella sezione giovani, nel 2011. Certo, fa una musica dedicata ad una nicchia, ma io lo vedo bene, in prospettiva futura, in una sfera cantautorale tipo Paolo Conte, anche se ovviamente non ha ancora il retroterra cultural-musicale giusto, vista l’età, ma è un ottimo pianista e può diventare una realtà consolidata.

Ritorniamo alla Numero Uno: che cosa ti è accaduto di significativo in quel periodo?

Come ti ho detto, al di là delle vicende che mi hanno portato all’uscita dalla Ricordi, esisteva una condizione di piena soddisfazione e stima che legava me a Mogol e a suo padre, e quindi mi diedero la possibilità di diventare loro socio, ed entrai con le stesse quote di Lucio Battisti, anche se ricordo che per poter mettere la mia parte dovetti fare i salti mortali; pensa che RCA ci fece un finanziamento considerevole con la clausola che dopo un anno dalla restituzione del prestito avrebbero avuto il diritto di entrare come soci al 50% e quindi… fummo dei veri polli! Uno dei soci – Sandro Colombini – dopo un annetto se ne andò e io e Battisti ci dividemmo equamente le quote di Colombini, senonché tutto – e per tutti i fondatori – si dimezzò con l’ingresso della RCA. Ma la Numero Uno era la nostra famiglia e noi eravamo degli appassionati, così come capitava in quei giorni anche nelle altre entità simili, e c’era spazio – e possibilità di vendita –  per tutti gli artisti, e Orietta Berti e la Cinquetti potevano coesistere con Battisti e De Andrè, molto diversi tra loro: oggi, come ben sai, tutto è cambiato.

La Numero Uno si rafforzò successivamente quando entrò Mara Maionchi come Ufficio Stampa, e Mara piazzò la sigla del Festival Bar che era “Questo folle sentimento” della Formula 3. Da quei successi nacque l’opportunità di restituire il denaro alla RCA, con le conseguenze a cui ho accennato. Battisti era importante ma all’epoca non aveva una disponibilità economica che potesse contrastare la RCA attraverso un aumento di capitale. Ma ci tenevano buoni e cari perché portavamo un sacco di soldi, perché oltre alle quote societarie esisteva un contratto di distribuzione tra RCA e Numero Uno, e a noi era destinato il 40%; e poi nel consiglio di amministrazione tre erano RCA e due Numero Uno. Dopo cinque o sei anni sono nate delle serie preoccupazioni – Mogol dice legate alle manifestazioni politiche dell’epoca che davano una connotazione precisa a Battisti – ma in realtà avevamo perso tutta la nostra libertà e quindi l’entusiasmo. Non va dimenticato che Lucio Battisti era, a mio giudizio, il più bravo di tutti, e noi avevamo, per settimane e settimane, quattro o cinque brani tra i primi dieci della classifica italiana.

E quindi questa tua seconda parte di vita lavorativa è andata scemando e tu sei migrato in una nuova situazione…

Esatto… venduta la Numero Uno alla RCA – per statuto non c’erano altre soluzioni, in caso di vendita – ne abbiamo ovviamente tratto un vantaggio economico, anche se esiste il rammarico di non aver potuto vedere che cosa sarebbe diventata se avessimo continuato; io arrivai alla Sugar Edizioni proponendo a Piero Sugar, come a quei tempi si faceva, di realizzare una società editrice al 50%… come dire: “Lei mi finanzia e io porto con me Mario Lavezzi, Oscar Prudente, Bruno Lauzi, Alberto Radius…”. Lui mi propose il ruolo di dirigente (lo ero diventato nel ’71) con l’intesa che io avrei portato con me i “miei“ artisti.

Accadde che dopo pochi mesi, per 800 mila lire, riscattai il contratto che avevo fatto personalmente a Umberto Tozzi. Umberto venne con me alla Sugar e mi pare che globalmente ottenne tre milioni alla stipula del contratto discografico. In quei giorni incontrai Bigazzi – avevo Umberto sotto braccio – e gli dissi: “Giancarlo, se tu lavori con questo ragazzo ti faccio triplicare i tuoi incassi SIAE…”; lui, lo stesso week end lo portò con sé a Firenze. Tornarono al martedì con tre canzoni, una si chiamava “Mi manca”, interpretata poi da Riccardo Fogli e Marcella Bella in un LP, un’altra era “Donna amante mia”, che è stato il primo singolo di Tozzi e la terza era “Io camminerò”. Tutto questo prima di arrivare a “Ti amo” – successo mondiale. Avevo avuto ragione!

Dopo un periodo difficile di assestamento alla Sugar trovai la seconda persona che mi ha insegnato molto dopo Mariano Rapetti, Ettore Carrera, il capo delle Edizioni Sugar, e l’idea condivisa dai vertici era quella che in futuro avrei preso il suo posto. In quel periodo le cose si erano un po’ rovesciate, ed eravamo noi editori a portare i brani di successo alla discografia, e io avevo dato il mio bel contributo. Con Bigazzi si era stabilita una grande amicizia e collaborazione; lui aveva un borsone con tutti i suoi progetti, e un giorno venne da me e mi fece sentire dei provini di una cantautrice e, visto che ormai mi conosceva bene, capì dalla mia espressione che non mi convinceva. Mi propose allora un’altra cosa, fatta col revox, un po’ frettolosa: ascoltai e gli dissi di dimenticare la cantautrice mentre il brano del secondo interprete poteva essere a mio giudizio un… successo mondiale: era “Self Control” e il cantante era RAF.

Mi piace sottolineare che queste cose non erano il frutto del lavoro di una sola persona. Nel nostro caso avemmo un grande appoggio da un nostro collega e grande amico – mancato molto giovane -, Elio Gariboldi, che viveva in Germania. Monaco era un punto nevralgico in Europa per lo smistamento dei successi e lui ebbe ruolo importante perché il produttore di Laura Braningan era tedesco, e aveva un rapporto consolidato con Elio, e produsse la Braningan con lo stesso arrangiatore che aveva lavorato a Monaco alla realizzazione di Gloria”, di Tozzi.

Nella preparazione di un LP da dodici tracce della Braningan c’era rimasto un unico vuoto, il dodicesimo pezzo, e l’arrangiatore propose come riempitivo Gloria”. Il resto è storia! Laura Braningan incise poi anche “Self Control”… il mio fiuto, a proposito di RAF, non mi aveva tradito.

Il mio ruolo allora era proprio quello di dare indicazioni risolutive… magari l’autore arrivava con due canzoni e dopo un po’ di taglia e cuci diventava una sola. Un esempio classico è “Io vagabondo”: erano due canzoni, con musica di Damiano Dattoli; lui venne da me con queste due musiche e io lo consigliai… tagli qui e attacca lì, che non è strofa e inciso, ma strofa e strofa, quindi non una cosa semplice. Successivamente Alberto Salerno – che era un giovane poco più che ventenne – scrisse il testo, e la canzone, ancora oggi, resta una delle cinque canzoni che incassano di più alla SIAE. Questo episodio fa riferimento, ovviamente, al periodo della NUMERO UNO.

Attualmente l’editore è anche un amministratore e io ho ormai la saggezza per comprendere che oggi non avrei la lucidità giusta per capire i cambiamenti in atto, che sono enormi.

continua (…)

Franco Daldello e cinquant’anni di storia della musica italiana – INTERVISTA

 

Le canzoni estive italiane più belle degli anni 70

31 Agosto 2016 | 11:31

Da Splendido splendente di Donatella Rettore a Gloria di Umberto Tozzi, 10 pezzi che hanno segnato le estati del decennio

 di Marco Goi

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Foto: Patty Pravo
Credit: © http://www.pattypravoweb.com

Per chi era presente negli anni settanta, sarà un gran bel tuffo nell’oceano dei ricordi; per gli altri è invece l’occasione per (ri)ascoltare le canzoni che hanno segnato le estati dei propri genitori.

Dopo essere andati alla scoperta dei pezzi memorabili e dei tormentoni degli anni sessanta, ottanta e novanta, diamo ora un’occhiata e soprattutto un ascolto ai brani estivi italiani più popolari di un altro decennio: i mitici 70s.

Una decade in cui la musica italiana ha attraversato un ottimo periodo e, soprattutto in ambito pop, ci ha regalato grandi artisti e una serie di canzoni che anche oggi suonano ancora in maniera splendida. O meglio, per dirla con Donatella Rettore, in maniera splendida splendente

 Lucio Battisti – Fiori rosa fiori di pesco

 Orietta Berti – Finchè la barca va

 Patty Pravo – Pazza idea

 Umberto Tozzi – Gloria

 Umberto Balsamo – Balla

 Oliver Onions – Sandokan

Alan Sorrenti – Tu sei l’unica donna per me

 Adriano Pappalardo – Ricominciamo

 Viola Valentino – Comprami

Donatella Rettore – Splendido splendente

Le canzoni estive italiane più belle degli anni 70

INTERVISTA A GUIDO GUGLIELMETTI

by Sara Grillo

Guido Gugliemetti, arrangiatore, compositore e musicista, ha collaborato con molti importanti nomi della musica italiana, come Lucio Battisti, Umberto Tozzi, Ivano Fossati, Mia Martini, Mina, Anna Oxa, Lucio Dalla. (…)

Guido, cominciamo dall’inizio e raccontaci i tuoi esordi…

Dobbiamo andare molto indietro nel tempo. Circa 45 anni fa ho iniziato a suonare in parrocchia con un gruppo di amici, uno dei quali era Umberto Tozzi. Successivamente ho avuto l’opportunità di partecipare alla registrazione di “Il mio canto libero” di Lucio Battisti; è stato il mio debutto come professionista, avevo solo 19 anni. Circa 30 anni fa ho conosciuto De Gregori e ho iniziato a esibirmi sul palco con lui, dal 2000 sono anche produttore di tutti i suoi dischi e band leader durante i suoi concerti

(…)

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