Noi due

BUON DRAMMA ISRAELIANO CHE VA DRITTO AL CUORE DI UNA STORIA ESSENZIALE E STRAZIANTE.

Recensione di Tommaso Tocci
mercoledì 9 febbraio 2022

Uri è un ragazzo israeliano affetto da autismo. Vive con il padre Aharon, che si prende cura di lui e di ogni suo bisogno con dedizione totale, al punto da aver messo da parte la carriera per stare a fianco del figlio. La madre di Uri, Tamara, vive lontano e non ha lo stesso rapporto con il ragazzo, ma insiste perché Uri si trasferisca in un istituto specializzato per farlo stare a contatto con persone della sua età. Padre e figlio però hanno una relazione troppo stretta, e Aharon fa di tutto per impedire che Uri gli venga portato via.

Raramente si vedono film incentrati in modo così totale sulle sfumature di un rapporto padre-figlio, specialmente se non sono dominati da un conflitto sui codici tradizionali della mascolinità.

In soccorso viene la nuova opera di Nir Bergman, regista israeliano noto per essere tra i realizzatori di Be’tipul, serie che ha dato origine alle varie versioni internazionali di In treatment. Tale sensibilità per l’asciugatura e il risalto del linguaggio drammatico trova un felice incontro con il lavoro della sceneggiatrice Dana Idisis, a cui va il merito (che affonda nell’esperienza diretta) di un trattamento del tema dell’autismo realistico e complesso, capace di occuparsi anche delle discriminazioni e dello smantellamento dei luoghi comuni in materia.

Pur senza brillare dal punto di vista dell’inventiva e del rigore formale, tra le mani di Bergman il materiale viene trattato con delicatezza e con la capacità di mettere da parte tutto ciò che non è necessario, andando dritto al cuore di una storia essenziale e straziante.

Il rapporto tra Uri e Aharon è denso e sempre tangibile, con particolare attenzione ai gesti quotidiani: lo dimostrano le scene che ritraggono i due in bicicletta, o nudi davanti allo specchio mentre si radono cantando “Gloria” di Umberto Tozzi. Quanto c’è di buono nel loro amore reciproco è subito evidente tra le pieghe delle interpretazioni (bravissimi Shai Avivi e Noam Imber), e altrettanto palesemente lascia poi graduale spazio a un ritratto di padre che ha più bisogno del figlio di quanto egli non ne abbia di lui, e che sa come tenerlo stretto a sé con la semplice preparazione di un piatto di pasta, a spese di una madre che cerca gentilmente di separarli.

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