Musica, l’ombra di tangenti e ricatti per andare in radio

leggi l’articolo su lettera43.it

Massimo Del Papa

CORRUZIONE

Musica, l’ombra di tangenti e ricatti per andare in radio

Non paghi? Non ti trasmettono. E resti muto. L’ultima denuncia è di Caputo. Come lui tanti boicottati: Finardi, Conte, Bennato. Riecco il fantasma mazzette.

di

13 Aprile 2015

Sergio Caputo.

Sergio Caputo.

Si chiamava payola.
Significa pagare per trasmettere: è una lunga storia di tangenti d’etere. La corruzione dei dee-jay per decadi si è sospettata, a volte tollerata. Scoppiò in America e adesso sembra essere tornato con modi più sfumati, più complicati.
Ma è sempre la solita vecchia storia: tu mi paghi, mi garantisci entrate e io ti sparo nell’etere oppure niente, sei fuori, sei muto e se sei muto e fai il cantante allora non esisti, non hai speranze.
LE EMITTENTI BOICOTTANO. Una decina d’anni fa ci fu uno scandalo anche qui, lambì quasi tutti i principali network, poi nessuno ne parlò più.
Sergio Caputo, quello del Sabato italiano, il continuatore dello swing all’italiana dei Carosone e dei Johnny Dorelli, è tornato ad agitare il fantasma: ha fatto un disco nuovo, ma le radio lo boicottano.
E allora lui ha detto quello che tutti mormorano, ma non confermeranno mai: la radiopoli, la solita cara vecchia payola.
«PORTE CHIUSE IN FACCIA». L’ha detto in giro, ha concesso una intervista al sito Rockol, continua a sbottare: «Quelli come me, come Finardi, come Conte, sono morti? Fanno i pizzaioli? No, facciamo sempre musica, ma ci chiudono le porte in faccia».
Caputo non salva nessuna emittente, neanche la tanto decantata Radio Italia che per missione avrebbe quella di divulgare il canto tricolore.
LE RADIO: «QUESTIONI DI GUSTI». Le radio non rispondono oppure oppongono ragioni d’etere, si appellano ai gusti dei giovani, ma si sa che sono invece i gusti di chi trasmette e ha buone ragioni per le sue scelte.
Sullo sfondo, tutto un complicato giro di cessioni di diritti di edizione, di pacchetti “musica-pubblicità”, di sinergie radiotelevisive, di business dei concerti che sono ormai l’unico grande affare rimasto alla musica.
Ma insomma si capisce che stringi stringi chi non respira etere sospetta la solita vecchia payola, agevolata da una crisi musicale ormai endemica, conclamata.

Pino Daniele, Umberto Tozzi e Renato Zero big ridimensionati

Edoardo Bennato.

(© Getty Images) Edoardo Bennato.

I grossi calibri sono scarichi.
Il povero Pino Daniele del suo ultimo e non disprezzabile La Grande Madre, autoprodotto, aveva venduto poco più di mille copie.
Umberto Tozzi, che tra fine Anni 70 e inizio 80 macinava milioni di copie, con l’ultimo Yesterday, Today si è fermato a meno di 7 mila e poi ha sospeso ulteriori pubblicazioni, perché anche lui si autoproduce.
Renato Zero – che l’ostracismo delle radio aveva denunciato in diverse canzoni – è passato dai 600 mila cd ai 70 mila risicati dell’ultimo doppio Amo, e ce l’ha fatta solo raddoppiando il numero dei concerti perché il primo capitolo aveva fatto segnare una imbarazzante quota 19 mila. Imbarazzante e preoccupante, avendo lui investito alcuni milioni di euro nella realizzazione.
BENNATO SOTTO «RICATTO». Edoardo Bennato, per diretta ammissione, ha un album pronto, un doppio con 20 brani, ma «non trova cane che gli abbai»: gli avevano proposto, racconta Edo, di andare a Sanremo, ma per lui era un ricatto inaccettabile e allora i brani restano nel cassetto. Destino che aveva già segnato Enzo Jannacci.
Non c’è niente da fare, la geografia musicale è proprio cambiata.
Per una Nannini che fa 100 mila copie con una raccolta (e non ci si crede), per un Vasco Rossi che tiene botta, anche se non più ai livelli del passato (circa 300 mila copie dell’ultimo Sono innocente), ce ne sono tanti, troppi che ammainano le vele.
E NEL 2014 MERCATO A +7%. E nel 2014, secondo dati ufficiali Fimi, il mercato è risalito del 7% rispetto al 2013 grazie anche all’espansione del digitale e dello streaming (legale). Mentre non fa testo il reparto nostalgia del vinile, cresciuto sì del 36%, ma all’interno di un irrisorio 2,6% globale.

Oggi tirano rapper e finti artisti dei talent

Lorenzo Fragola sul palco dell'Ariston durante la terza serata del Festival di Sanremo.

(© Ansa) Lorenzo Fragola sul palco dell’Ariston durante la terza serata del Festival di Sanremo.

È proprio la morfologia a essere diversa. Oggi tirano – ma per quanto?, una stagione, due – i rapper che piacciono alle radio, balbettanti erogatori di concetti elementari, tirano le boyband che piacciono alle ragazzine e i falsi artisti dei talent.
Mentre i festivalbar istituzionali come Sanremo o l’alternativo Primo maggio non spostano più niente e l’autoproduzione, che fino a 15 anni fa era la lettera scarlatta, è diventata per tutti l’ultima thule.
MONDO ALLA ROVESCIA. Sono usciti «da soli», dopo anni di latitanza, Alberto Fortis e, da pochissimo, Gianni Togni, mentre Eugenio Finardi col nostalgico Fibrillante ha ritrovato visibilità più che altro per essere prodotto da Max Casacci dei Subsonica.
Come a dire il mondo alla rovescia, i maestri al traino degli epigoni.
Qualcuno attinge dal crowfunding, altri fanno i salti mortali, vanno a registrare in Est Europa o se la cavano con quello che hanno in casa.
MOSSE ONLINE SBAGLIATE. Ma i senatori non possono cambiarsi la testa. C’è chi, come Baglioni, sbaglia le mosse, libera in Rete un nuovo disco “spacchettato”, un brano alla volta, ma non è una gran trovata.
Altri preferiscono togliere il disturbo: Ivano Fossati si è ufficialmente ritirato così come Guccini, ma chissà se è davvero una faccenda di età, di saturazione o non la vita grama del cantautore tornato musicante con le difficoltà, le precarietà, i rischi del caso.
ORA FANNO GOLA 30 MILA COPIE. Non si sa più come fronteggiare un passaggio irreversibile e strano, le 30 mila copie dei Subsonica le invidiano tutti quelli che 30 anni fa ci avrebbero sputato sopra.
Di colpo “indie” non è fico, non è sfigato, è solo obbligato. Tutti a disputarsi le 5 mila copie che tirano su le spese e consentono un giro di concerti, tutti anche a fare meno gli schizzinosi di prima, se invece delle solite stamberghe mascherate da locali capita un teatro come Dio comanda, con camerini riscaldati e un pranzo da cristiani, è già grasso che cola.
UN’EPOCA MUSICALE È FINITA. Anche lo stagno alternativo è in prosciugamento. La livella è arrivata per tutti, un’epoca musicale, quella dei grandi dischi, dei grandi ingaggi, dei passaggi radio a raffica, dei miliardi facili (in lire), delle folle oceaniche si è davvero chiusa, almeno in Italia.
Perché anche i cari fan alla fine son sempre gli stessi, seguono il gruppo, diventano parte della strada, diventano quasi parenti. E intanto i Caputo passano, ma la payola, o almeno il suo sospetto, resta. Una lunga sporca storia che è vecchia come la radio.

da: http://www.unita.it/news/culture/102431/se_lautostrada_non_cambia_musica

L'Unità - Fondata da Antonio Gramsci nel 1924

Se l’autostrada non cambia musica

di Leonardo Tondellitutti gli articoli dell’autore

Passato un buon ferragosto? O eravate anche voi intrappolati in una coda d’autostrada, cullati dalle dolci note di Sandro Giacobbe? Rassegnatevi, è l’Italia. Certi problemi sono complessi. Gli esodi di agosto, per esempio, non sono così facilmente aggirabili. Ma Sandro Giacobbe? Un modo di aggirarlo ci dovrebbe pur essere. Non so, per esempio… una class action contro Isoradio? Chiedere i danni a Isoradio,che idea folle. Come calcolare la quantità di tempo e di denaro bruciate in tutti questi anni in centinaia di migliaia di code? Code che milioni di automobilisti avrebbero potuto evitare, se Isoradio li avesse informati prontamente di quello che succedeva 30 km più in là, invece di proporre un vecchio classico di Umberto Tozzi dopo l’ultimo successo di Biagio Antonacci…

La selezione musicale di Isoradio
è una di quelle ingiustizie alle quali forse i potenti sperano di assuefarci con gli anni. Magari, pensano, col tempo ci affezioneremo a quest’Italia di svincoli presi senza sapere se dietro la curva c’è una coda o no, mentre i Ricchi e Poveri cantano Mammamarìa. E intanto gli anni passano, le code si allungano, dei Ricchi e Poveri si sarebbe perso anche il ricordo, se non fosse per i dj di Isoradio. Ma cosa vogliono da noi? Perché non si sbrigano a dirci che le uscite sull’Adriatica sono intasate? Perché prima devono per forza somministrarci Gianni Togni? Cosa abbiamo fatto di male, esattamente? Di quale colpa oscura ci siamo macchiati (probabilmente a metà degli anni Settanta)? Non siamo anche noi automobilisti come gli altri? Perché Isoradio non sembra fatta per noi – ma a orecchio non sembra fatta per nessuno.

Credo che in partenza ci fosse un’idea
: intervallare le informazioni sul traffico con un po’ di musica ‘popolare’, per evitare che il conducente si assopisse o cambiasse frequenza. Forse trent’anni fa tutto questo aveva ancora un senso. Le autostrade erano meno trafficate, le code meno frequenti, e tra una notizia e l’altra si potevano programmare canzoni da hit parade, quel tipo di canzoni che rappresentavano un patrimonio collettivo, le conoscevano tutti e le cantavano… no, aspetta,trent’anni fa? Era il 1980, le autostrade erano già fiumane di lamiera rovente, i ragazzini ascoltavano il post-punk e vomitavano sulle note delle canzoni preferite da mamma e papà. Il sogno generalista di Isoradio viene ancora da più lontano. E non ha davvero più il minimo senso.

Oggi non esiste più un patrimonio di canzoni condivise ammesso sia mai esistito). Se metti su Sanremo l’ascoltatore dei Pink Floyd cambierà frequenza. Techno e Hip-hop non sono più fenomeni ‘giovani’: è roba che gira da una ventina d’anni, una parte non piccola degli utenti delle autostrade c’è cresciuta in mezzo e magari non ascolta altro. Ma Isoradio non può programmarla, perché? Perché c’è il rischio che il camionista cinquantaseienne si addormenti, sbandi e schiacci l’appassionato dei Pink Floyd contro l’amante della techno. Va bene. D’altro canto il camionista 56enne ormai è un rumeno di Conegliano, e Tiziana Rivale non risveglia in lui nessuna luminosa epifania degli anni Ottanta: se è stanco si addormenta e sbanda uguale. E se mettessimo un notiziario sul traffico in più, semplicemente? Anche in rumeno, perché no, pensiamoci.

Di tante rivoluzioni a cui abbiamo assistito, ce n’è una che forse ci siamo lasciati sfuggire. Da qualche tempo in qua ascoltare musica in auto è diventata un’esperienza molto meno frustrante. Cos’è successo? Una piccola cosa: nelle auto sono entrati i lettori mp3. Ormai, nell’affannosa corsa al cliente, le concessionarie li offrono in serie. Con tutto quello che significa: caricare su ogni auto una valigia colma di cd, compressa in pochi centimetri cubici, e gestibile con una mano sola. Si può viaggiare per l’Italia e l’Europa con il proprio juke box personale, che quasi mai include i successi di Pupo tanto cari ai dj Isoradio. Questa rivoluzione impalpabile ha i suoi pro e i suoi contro. Non dipendiamo più dai selezionatori delle radio, non saremo più costretti a memorizzare il tormentone del momento. D’altro canto c’è il rischio di blindarci nella nostra bolla musicale personale, e di perdere ogni contatto coi gusti musicali delle persone che stanno vicino a noi.

Ma tutto questo in fondo non riguarda Isoradio
.La diffusione dei lettori mp3 sulle auto metterà in discussione la programmazione delle emittenti commerciali, ma Isoradio è servizio pubblico; il suo scopo è offrire in tempo reale informazioni sul traffico. Non importa quante ore di buona musica abbiamo a bordo; in certi momenti avremo sempre voglia di sintonizzarci su Isoradio. A patto che ci dia immediatamente informazioni sul traffico, non sui momenti oscuri della carriera dei Matia Bazar. Non si può semplicemente programmare un notiziario dopo l’altro, senza interruzioni musicali? Dite che è troppo noioso? Più di un successo di Amedeo Minghi?