Sanremo 2019, componi tu il cast: vota tra gli ex vincitori – SONDAGGIO
Prima fase di qualificazioni per il nuovo contest che eleggerà il cast ideale del prossimo Festival scelto dagli appassionati lettori di RecensiamoMusica
Tra una Settimana Enigmistica e un Sudoku, siamo certi che Claudio Baglioni(nominato per la seconda volta direttore artistico del Festival della Canzone Italiana) stia già mettendo in piedi la macchina organizzativa di Sanremo 2019. Un lavoro molto impegnativo, al quale vorremmo contribuire dando il nostro piccolo contributo, attraverso il vostro aiuto. Il web, spesso bistrattato e considerato al di sotto delle sue potenzialità, raccoglie tra i suoi internauti una serie infinita di appassionati di musica, oltre che le più rappresentative fanbase degli artisti italiani.
A voi ci rivolgiamo per decretare il cast ideale della prossima edizione della storica kermesse musicale, attraverso dieci appuntamenti settimanali nei quali potrete scegliere coloro i quali, secondo il vostro insindacabile parere, meritano di calcare il palco del Teatro Ariston il prossimo febbraio
Prima di abbandonarci nel consueto rompicapo del toto-nomi (oggettivamente è ancora troppo presto), vi proponiamo i primi due quesiti di questa fase preliminare, chiedendovi quali ex vincitori vorreste riportare nella città dei fiori. Nel primo sondaggio dovrete scegliere i vostri cinque preferiti tra gli artisti che si sono aggiudicati il titolo della categoria Campioni, nel secondo troverete i detentori della sezione Nuove Proposte(chi ha vinto entrambe le categorie lo troverete di diritto tra i big, mentre chi non è inserito in elenco sarà presente nelle prossime puntate).
Quali ex vincitori di Sanremo vorresti in gara nella 69esima edizione del Festival? (si possono esprimere massimo 5 voti per utente, passano il turno i 15 artisti con più preferenze)
Si potrà votare fino alla mezzanotte di sabato 11 agosto. Domenica prossima ci sarà un secondo contest per eleggere altri venti candidati che passeranno alla seconda fase delle votazioni. Buona musica a tutti!
Uno dei bassisti più importanti in Italia ha scritto un piccolo racconto della sua vita professionale: dall’esordio agli incontri, i grandi dischi e le collaborazioni, da Umberto Tozzi a Francesco De Gregori, dagli anni ’70 ad oggi
Credo che la nostra più grande conquista non sia scoprire di aver ragione, ma capire di avere torto
Non penso serva faticare troppo per comprendere la ricchezza di questa frase di Guido Guglielminetti. Ritrovo il “capobanda” a portata di telefono e mail, pronto a partire anche con il nuovo tour estivo di Francesco De Gregori. Ma non è questo l’argomento. L’occasione invece è ghiotta per parlare di un libro, il suo libro: si intitola Essere… basso. Piccole storie di musicaedito da Largolibro. In queste 140 pagine, sono come panni stesi al sole di primavera i racconti della sua vita professionale, leggeri e spesso divertenti, una carriera all’insegna di quella grande musica che ha reso celebre la nostra tradizione e che ancora oggi contamina la produzione di tantissime nuove voci.
La copertina del libro
Essere “basso” per Guido Guglielminetti non è affatto soltanto una questione di come suonare uno strumento, il basso per l’appunto, non è questione soltanto di tecniche e di accordature. Essere “basso” significa per lui vivere da artista, essere protagonisti di ogni singola nota, di ogni cucitura, di quell’antico mestiere artigiano che sa di concedere anche al silenzio lo spazio e il rispetto dovuto per fare la differenza. Significa anche mettere in valigia tutti i chilometri di strada rubati al caso, significa esserci e non solamente passarci. Un libro che mi lascia scoprire quante cose di lui avevo perduto e probabilmente neanche avevo mai saputo.
E quindi non solo De Gregori, probabilmente il ruolo principale di questo presente, ma tra dischi e live possiamo liberamente citare nomi come Tozzi, Oxa, Fossati, Camerini, Mia Martini, Dalla, Mina, Bertè, Luigi Grechi, Pappalardo, Battisti e tanto altro ancora, mille altri fuori pista che farli stare tutti dentro ad un libro diventerebbe assai impegnativo. Che poi lui non è uno scrittore, non si atteggia ad essere tale e non è questo lo scopo di una simile lettura. Per fortuna, dico io, tra la plastica musicale che ormai sta seminando adepti in ogni angolo delle nuove generazioni, esistono testimonianze preziose come questa, esiste ancora il modo di ascoltare la voce di chi forse non ti dirà mai di essere stato un “pittore” ma che probabilmente può ben alzare la voce dalla cattedra dei maestri. Guido Guglielminetti non fa neanche questo anche se potrebbe permetterselo senza troppo ingigantire la storia. Ed è vero che tra le righe di questo libro dovremmo, anzi dobbiamo, prendere e portare a casa lezioni di vita utili a lavarci di dosso questa gratuita facilità con cui ci crediamo artisti arrivati. Tanto di cappello maestro Guido, che poi tu e la tua banda di cappelli ne usate parecchi.
Incontro: ecco la prima parola che mi arriva forte al cuore dopo aver letto questo lungo racconto di vita. Ti lancio un “La” per un’analisi. La tua vita professionale, in questo “breve riassunto”, è costellata di incontri. Come dici tu: non è solo duro mestiere, non è solo fortuna. Io aggiungo che si tratta anche di incontro. Oggi invece i computer ci restituiscono tanta solitudine… anzi forse puntano proprio a quello…
“Non sono del tutto d’accordo riguardo ai computer, dipende sempre dall’uso che se ne fa. Certo è che la cosa veramente preoccupante dei social network in questo caso, è che ognuno si senta legittimato a pontificare, che pensi di avere gli strumenti per farlo e che altri li seguano, creando così un circolo vizioso di ignoranza dal quale difficilmente usciremo. Riguardo gli “incontri”, se usati bene, gli strumenti di comunicazione, aiutano, perché ti permettono di entrare in contatto con persone lontane nel tempo e magari di “incontrarle” fisicamente”.
Maestri. Questa è la seconda grande parola che mi hai regalato. In questo libro ci viene forte l’insegnamento di quanto sia stato importante per te avere e incontrare riferimenti professionali da cui rubare e imparare i segreti del mestiere. Tu, anzi direi ovviamente voi tutti di quella generazione, avevate la fortuna di inseguire i maestri. Veniamo ad oggi. Parliamo delle nuove generazioni, quelle dei computer, della trap di Sfera Ebbasta o di Fedez e tanto altro… che maestri possono incontrare? Ce ne stanno secondo te?
“I miei “maestri” sono state le persone, ognuna a modo proprio, che ho incontrato per strada. Non mi sono mai approcciato ad una persona facendo dei distinguo, perché appunto ho sempre pensato che da tutti c’è qualcosa da imparare. Un esempio lampante che cito nel libro è proprio Oscar Prudente. Se avessi voluto prendere lezioni di basso, probabilmente non avrei scelto Oscar, perché non è un insegnante di basso, anzi neanche lo suona, ma è stato proprio lui a fornirmi la chiave di lettura che mi ha accompagnato per tutta la mia vita professionale, cosa che forse un insegnante di basso vero e proprio, non avrebbe saputo fare. Sicuramente non in quel modo. Gli artisti che tu citi, se solo sapessero guardarsi intorno, e non è detto che non lo facciano, avrebbero da imparare da chiunque. Chi vuole crescere, in ogni attività, deve rimanere sempre acceso e non avere preconcetti, ma soprattutto avere grande grandissima umiltà, cosa quest’ultima, che mi pare manchi oggi, in parte anche perché, come dicevo prima, tutti pensano di poter intervenire su tutto, di poter dire tutto, di sapere tutto”.
Che poi levami una curiosità davvero istintiva e forse anche sciocca: è un’impressione sbagliata o è vero che con queste iperconnessioni sociali talmente immediate e onnipotenti, si sia tolta alla crescita e alla formazione il dono dell’attesa e della lotta al raggiungimento anche di un semplice numero di telefono? Insomma, quanto era importante per voi non poter contattare qualcuno?
“Sinceramente non credo siano cambiate molto le cose, perché chi era irraggiungibile ieri lo è comunque anche oggi, sembra che sia tutto a portata di mano, ma non è proprio così. Non ci dimentichiamo, tornando ai social, che tu credi, ti illudi di comunicare con qualcuno, ma non è detto che l’interlocutore sia chi credi tu. Pensiamo davvero che un artista famoso passi il suo tempo a rispondere a migliaia di messaggi al giorno su FB, fra i quali il tuo? Quando noi mandavamo le nostre cassette alle case discografiche, queste finivano, assieme ad altre centinaia, sulla scrivania di qualcuno che non le ascoltava. Quindi “contattare qualcuno” nel senso utile del termine, rimane un’impresa ancora oggi”.
Senti Guido, tra i mille racconti ce ne sta uno davvero esilarante che non hai riportato (certo è impossibile parlare di tutto, me ne rendo conto) ma se vuoi e se fosse possibile mi piacerebbe lo facessi ora. Non ricordo l’anno. Parliamo di un Wind Music Awards (credo). Francesco De Gregori rigorosamente dal vivo ma con la base musicale registrata e quindi la band in playback come di routine per molte trasmissioni come questa. E voi? Voi quindi vi siete scambiati i ruoli e gli strumenti e per chi vi conosce come me non immagini che risate… sbaglio o tu eri alla batteria???
“Mi pare io fingessi di suonare la chitarra, alla batteria c’era Alessandro Arianti, poi non mi ricordo gli altri ruoli, perché furono improvvisati. Fingere di suonare, anche se quello che fingi è ciò che hai suonato tu, è una delle cose più imbarazzanti che ci siano. La gente non è al corrente di tutte le difficoltà tecniche che suonare “live” comporta, quindi i più pensano che sei tu che non ne sei capace. Quindi quello fu un modo per sdrammatizzare e per rendere palese la finzione. Purtroppo comunque ci fu anche chi poi disse: “allora non è che suoni solo il basso!”.
Questo racconto l’ho voluto sottolineare per lasciarti evidenziare un aspetto assai interessante: quanto è importante per te e per tutta la band, quel piglio ironico, quel divertirsi prima di tutto? La musica è anche questo non è vero? Che poi pensando ad un artista come De Gregori non lo diremmo mai e invece…
“Io sono diventato un musicista perché spinto da una forte passione, non ho mai pensato alla musica come ad un lavoro. Ancora oggi, quando salgo sul palco, quelle due ore, sono la mia ricreazione. Nel corso di questi anni ho sempre cercato di circondarmi di persone che avessero questo mio stesso entusiasmo e, grazie a Francesco, ci sono riuscito. I nostri tour sono più paragonabili ad una gita scolastica che ad una tournèe di professionisti. Naturalmente questo non deve mai andare a discapito della serietà professionale, anche perché, in quanto “gioco”, deve essere trattato con grande serietà! Voglio aggiungere ancora per tutti quelli che: “… E ma come sei serio! – oppure – ma Francesco non sorride mai?” che divertirsi non significa fare i buffoni e che “ridere” non è necessariamente divertirsi”.
Ventilazione Front Cover
Ventilazione Back Cover
Ivano e Guido
E se Scacchi e Tarocchi in qualche modo segna l’inizio dell’ultima parte di questo libro, direi che la vera ricchezza è aver ritrovato e riscoperto segni altrettanto importanti come Ventilazione di Ivano Fossati. Sono dischi che hanno segnato un vero passaggio culturale in quel certo modo di fare e di pensare alla musica leggera. Eppure li stiamo perdendo di vista, anzi i più non sanno neanche di cosa parliamo. Quanto è grave per la nostra cultura tutto questo?
“Molti ragazzi stanno scoprendo ora queste cose, questi dischi importanti che appartengono ad un periodo in cui era possibile lavorare in quel modo, perché i budget lo permettevano, in quanto i dischi si vendevano ancora. Io preferisco essere contento del fatto che molti giovani conoscono ed apprezzano questa musica, piuttosto che rattristarmi perché molti altri non lo fanno. In fondo quello che succede oggi non è molto diverso da quello che succedeva quando ero giovane io. Ciò che ascoltavo io, per quelli che allora avevano l’età che ho io adesso, era musica di merda. Non mi pare che le cose siano cambiate molto oggi. Io ho i miei gusti, ma mi guardo bene dal giudicare, anzi tornando all’inizio della nostra intervista, ascolto con attenzione e curiosità, perché c’è sempre da imparare da chiunque”.
C’è un tema assai interessante che vorrei affrontare con il Guido Guglielminetti autore/produttore più che “semplice” musicista. Spieghi bene come secondo te il testo di una canzone non è fatto solo di parole ma anche e soprattutto di musica. Dunque un testo disegnato e composto pensando tanto alla metrica, al suono delle parole stesse e al sono della voce che le dovrà cantare, suono che deve ovviamente incontrare e accordarsi a quello che ha la canzone in quel preciso momento… eccetera… Insomma, un cocktail artigianale assai pregiato e delicatissimo. Mi pare di capire allora, correggimi se sbaglio, che un testo di una canzone non ha senso di essere e di esistere se privato di tutto il corredo musicale di cui sopra. Sbaglio? Se così fosse, ti chiedo (porta pazienza per la domanda iper inflazionata ormai): cosa ne pensi di dare il Premio Nobel alla Letteratura ad un cantautore com’è accaduto a Dylan? Un premio che non solo riconosce il testo di una canzone come entità letteraria in se ma la pone sullo stesso piano di testi generati e pensati solo per essere tali e non – appunto – canzoni…
“Visto che non esiste un Nobel ai testi di canzoni, va bene che a Bob Dylan venga assegnato questo riconoscimento, fermo restando però che, per me, un testo è tale solo se c’è una musica. Devo dire comunque che, nel caso di Dylan, lui spesso ha piegato la musica al servizio del testo, quindi il suo caso potrebbe essere un’eccezione. Però per favore non chiamate “poesia” il testo di una canzone! Io lo so che chi lo dice intende fare un complimento, ma sarebbe come elogiare una buona carbonara dicendo: che bontà! sembra un minestrone!“.
Anna Oxa, Discoring 1978, Un’emozione da poco (Ivano Fossati/Guido Guglielminetti)
Questo libro, a dispetto dal titolo, non ci restituisce affatto piccole storie ma anzi sono numerose le lezioni di vita che dovremmo custodire con gelosia. Tra queste cito l’esortazione nel provare sempre tutte le soluzioni musicali possibili durante la creazione di un brano. Ma io direi, restando con intelligenza nel romantico di questo concetto, che questa bellissima lezione si può estendere alla vita di tutti noi, ogni giorno… non credi?
“Sì certo. Ciò che inoltre voglio dire è che non bisogna aver paura di scoprire cose nuove, anche se queste potrebbero contraddire il nostro pensiero, ma soprattutto bisogna lavorare molto, bisogna essere curiosi e sempre pronti a mettersi in discussione. Non ci dimentichiamo che nessuno ha la verità in tasca e neanche la “conoscenza”. Infatti io credo che la nostra più grande conquista non sia scoprire di aver ragione, ma capire di avere torto. È così che si impara”.
Ma sarà capitato anche a te di dire qualche no importante nella vita o sbaglio? C’è ne sta uno che ha segnato tanto la tua carriera? Uno di quelli che dici se tornassi indietro…
“No, per mia fortuna non ho rimpianti importanti, se tornassi indietro farei le stesse cose, perché le esperienze negative mi hanno insegnato molto”.
E tra le mille cose che non conoscevo di te (e non smetterò mai di chiederti scusa per questo), è proprio la pittura. Vorrei farti quindi una domanda assai marzulliana. Non so se ha troppo senso ma mi “suona bene” e questo conta: hai trasportato o tradotto qualcosa dal mondo della pittura a quello della musica?
“Grazie! È una bella domanda. Quando facevo il Liceo Artistico, poi interrotto a malincuore, mi sono trovato ad un bivio: da una parte la musica e dall’altra il lavoro di grafico pubblicitario, che mi sarebbe piaciuto diventare. Sono due grandi passioni che hanno molte cose in comune: la cura del particolare, il senso della proporzione e della prospettiva sono alcune di queste. Ad un certo punto però, dedicandomi alla musica ho trascurato il disegno, ma ancora oggi impugnare una matita e sentirne l’odore mi da le stesse emozioni che provo quando indosso il basso, e fa molto meno rumore!”.
Per chiudere: ti prego dimmi che l’intervista finale è uno scherzo. Ti prego…
“L’intervista è un gioco. Se ci fai caso non si capisce se sono le risposte ad essere cretine o se lo sono le domande. Di solito è buona la seconda. Il Lumaco invece è assolutamente vero!”.
Non è naturalmente una questione di altezza, ma di carattere. Bassisti si nasce, potremmo dire, anche se nel caso di Guglielminetti non si può parlare esattamente di amore a prima vista fra lui e il basso.
Essere bassista non è semplicemente essere un musicista, ma avere la personalità da bassista e non poter suonare nient’altro (o quasi) che il basso.
“Il basso non ti accorgi quando c’è, ma, se manca, crolla tutto” scrive Guido Guglielminetti, torinese classe 1952, naturalmente bassista, nonché autore, produttore artistico e “Capobanda” di Francesco De Gregori da molti anni. Da pochi giorni ha infatti dato alle stampe il suo primo libro, Essere…basso (L’Argo Libro, 2017), una spassosa quanto interessante e ricca raccolta di aneddoti e riflessioni sulla sua vita (perché non solo di professione si tratta sicuramente nel suo caso) e sui suoi incontri da musicista.
Soltanto qualche mese fa l’avevamo intervistato per L’Isola e, nel corso di una piacevolissima chiacchierata-fiume (contrariamente alle aspettative, dato il suo carattere schivo e timido, come da lui stesso dichiarato), ci raccontava tra le altre molte cose come questo libro stesse prendendo vita e quanto di sé ci avesse messo dentro.
“Fra le pagine chiare” (ebbene sì, la citazione è banalissima, lo riconosciamo) di questo libro, molto ben scritto (anche il font scelto è piacevolmente insolito e di agile lettura, del resto “pagine chiare” si diceva, quindi a proposito) incontriamo alcuni protagonisti della musica italiana svelati nel “dietro le quinte”, giù dal palco, anche se sempre in ambito lavorativo (niente pettegolezzi o accenni alla vita privata di alcuno, Guglielminetti del resto è un gentiluomo) fra i quali: Umberto Tozzi, Ivano Fossati, Loredana Bertè, Nilla Pizzi, Mia Martini e Mina, e ancora Lucio Dalla, lo stesso Francesco De Gregori e il fratello Luigi Grechi, senza naturalmente dimenticare il Lumaco.
Ma a proposito, chi è il Lumaco? Si tratta di un personaggio che, leggendo, scopriremo essere piuttosto importante per l’autore (non esattamente un “alter ego” ma qualcosa che vi si avvicina molto), al quale è dedicato l’ultimo capitolo del libro, e che regna indisturbato in copertina in una simpatica interpretazione “warholiana” delle sue fattezze.
Scorrendo via via i vari capitoli, interessante è scoprire, ad esempio, come la famosissima Un’emozione da poco (portata al successo da Anna Oxa e ora ripresa anche in tour con notevole intensità da Paola Turci), i cui autori sono Fossati e appunto Guglielminetti, sia nata un po’ per caso unendo due frammenti distinti che nulla avevano a che fare l’uno con l’altro, oppure andando ancora più indietro nel tempo come da chitarrista nel gruppo di Umberto Tozzi (che allora si faceva chiamare Umberto “Roddy”) Guido sia passato al basso, e tante altre simpatiche storie che immortalano come polaroid l’ambiente musicale nonché la moda di quegli anni e raccontano in modo semplice e immediato, alla portata di tutti e non solo degli “addetti ai lavori”, l’evoluzione del modo di fare musica leggera in Italia, sia dal vivo che in studio.
Nel libro, pagine davvero belle e interessanti sono dedicate al lungo – e fortunatamente ancora in corso – rapporto di lavoro e d’amicizia con Francesco De Gregori e alla “strana coppia” formata da Francesco e Lucio Dalla. Il racconto è scorrevole, piacevole e arricchito qua e là da un tocco di ironia che rende vivace il tutto; il libro si legge d’un fiato e lo si rilegge volentieri.
“È un riassunto della mia vita” spiega l’autore “che coincide spesso con la mia musica. A volte può far ridere, ma giuro, che è tutto vero.”
E noi, lettori curiosi, ci guardiamo bene dal metterlo in dubbio!
Non è facile individuare il basso, quando si ascolta una canzone o di assiste all’esibizione di un gruppo: il bassista, di solito, se ne sta defilato, mantiene un profilo basso (appunto), non ambisce ad esibirsi in assoli come magari fanno i chitarristi. Anche se rimane un passetto indietro rispetto agli altri strumenti, però, il basso tiene le fila dell’intero gruppo, perché è lo strumento che fa da collante, quello che dà il riferimento armonico e ritmico: quando manca il basso, cade tutta l’impalcatura. Guido Guglielminetti, da buon bassista, è stato silenzioso protagonista di alcune pagine importanti della storia della musica italiana: classe 1952, nel corso della sua carriera ha collaborato con – tra gli altri – Umberto Tozzi, Lucio Battisti, Ivano Fossati, Loredana Berté e Francesco De Gregori. Ora ha raccolto aneddoti e racconti in un libro, intitolato “Essere… basso – Piccole storie di musica”, edito da L’ArgoLibro Editore: un volumetto di 140 pagine che si fa leggere piuttosto volentieri, che non contiene tecnicismi o teorie astratte sulla musica ma solamente racconti delle esperienze e delle collaborazioni di Guglielminetti con i personaggi che ha avuto modo di
Anzitutto: cosa significa “essere basso”?
Lavorando con un signore alto un metro e novantasei (si riferisce a Francesco De Gregori, insieme al quale suona dal 1985), è inevitabile che io mi senta basso. Ma a parte questo, “essere basso” è un’attitudine: il bassista è un musicista abituato a non stare sotto le luci dei riflettori. Mi dicevo che se avessi scritto un libro, il titolo sarebbe stato proprio “Essere basso”.
Perché un libro?
Ho sempre scritto piccoli racconti. Ne avevo pubblicati un paio sul mio sito e avevo notato che erano stati accolti con un certo interesse. Scrivere un libro, però, mi sembrava un’idea paradossale, perché la parola “scrittore” mi incuteva un certo timore. Ciò nonostante, ho deciso di seguire i suggerimenti di alcune persone, di raccogliere tutti i racconti che avevo scritto e di cercare una casa editrice interessata a pubblicarmi. Non avevo in mente né un’autobiografia né un’autocelebrazione, ma una sorta di fumetto senza disegni, una cosa leggera.
Il racconto parte dalla parrocchia di Torino in cui, verso la fine degli anni ’60, hai cominciato a suonare insieme a Umberto Tozzi. La vostra collaborazione proseguì fino alla fine degli anni ’70, poi le vostre strade si divisero: come mai?
Per una serie di ragioni, non personali, nel corso degli anni ci siamo un po’ persi ognuno nelle proprie attività. È rimasto l’affetto, l’amicizia e la stima, ma non abbiamo avuto più occasione di incontrarci. Sono convinto, però, che se ci incontrassimo domani sarebbe come se tutto il tempo trascorso non fosse davvero trascorso.
Ben presto arrivò per te un’esperienza molto importante: la partecipazione, nel 1972, alle registrazioni dell’album “Il mio canto libero” di Lucio Battisti. Cosa ricordi delle lavorazioni di quel disco?
Trascorsi una settimana in studio con Battisti e gli altri musicisti che presero parte alle registrazioni di “Il mio canto libero”. Il primo giorno arrivai con mezz’ora di ritardo: all’epoca gli studi di registrazione costavano molto e arrivare con mezz’ora di ritardo era piuttosto grave. Battisti era al telefono con la casa discografica, voleva che gli procurassero un altro bassista, ma poi mi vide arrivare e si tranquillizzò. Ricordo che nella sala c’erano alcune cabine, all’interno delle quali stavano i musicisti: Battisti era nella cabina alla mia sinistra, con la chitarra acustica e il microfono per la voce. Ma io ero troppo timido, avevo 19 anni e sul momento non avevo la percezione di quello che stava accadendo: i miei contatti con Battisti non andarono mai oltre il lavoro in studio di registrazione e compresi l’importanza di quell’esperienza solo qualche anno dopo.
Ma come prendevano forma le canzoni? Gli arrangiamenti erano già pronti oppure si improvvisava?
No, era tutto lavoro di improvvisazione. Battisti ci suonava il pezzo con la chitarra e noi gli andavamo dietro, ricavando gli accordi. Si registrava tutto in diretta e spesso venivano tenute proprio le prime versioni.
Nel 1973, un anno dopo l’esperienza con Battisti, hai suonato nell’album “Poco prima dell’aurora” di Ivano Fossati e Oscar Prudente: iniziò così la sua collaborazione con Fossati, che – tra le altre cose – produsse anche “Un’emozione da poco”. Come nacque quella canzone?
In maniera del tutto “easy”, come dicono gli inglesi. Nel 1977 Fossati viveva a Roma e divideva un appartamento con Rodolfo “Foffo” Bianchi, produttore e arrangiatore interno alla RCA, che un giorno chiese ad Ivano se avesse un pezzo per una ragazza nuova che stava producendo. Ripescai alcuni appunti che avevo tenuto da parte in una musicassetta: Ivano assemblò tra loro due cose che a me sembravano due pezzi diversi e scrisse il testo. Andammo a far sentire il risultato di questo lavoro alla RCA e loro ne furono entusiasti. Incaricarono il Maestro Ruggero Cini di scrivere l’arrangiamento della canzone, che la ragazza – Anna Oxa, allora sedicenne – presentò in gara al Festival di Sanremo nel 1978.
Ti è piaciuta la cover che Paola Turci ha proposto quest’anno al Festival di Sanremo?
Mi ha fatto un grandissimo piacere, non solo perché l’ha eseguita ma anche per come l’ha eseguita: è stata un’interpretazione bellissima e l’arrangiamento era fedele a quello originale. E pensare che io e Ivano siamo stati le ultime persone a credere in “Un’emozione da poco”: eravamo talmente poco convinti di quella canzone che non andammo neanche a Sanremo, l’anno della partecipazione della Oxa.
Da Fossati ad Anna Oxa, arrivando a Loredana Berté: come fu lavorare con lei?
Anche quello fu un bellissimo periodo, molto divertente. Il modo di essere di Loredana, che è quasi sempre esagerato e aggressivo, nasconde un cuore grande. E purtroppo, questo suo modo di essere ha portato danno solo a lei, immeritatamente: perché Loredana è una grande artista ed è sempre stata dieci passi avanti a tutti. Frequentava molto New York, girava il mondo e portava le nuove tendenze e le nuove realtà nei suoi dischi, sia a livello di suono che a livello di look e di immagine…
Loredana, nel suo libro, racconta che i discografici italiani non erano sempre convinti delle sue intuizioni: quando, nel 1984, gli propose l’album di cover in lingua italiana delle canzoni di Djavan, furono molto scettici. Quell’album, “Carioca”, fu prodotto proprio da te: è vero che ci furono perplessità?
Sì, è vero, perché lei, essendo sempre stata molto avanti, era difficile da capire. Aveva idee spesso rivoluzionarie, ma un carattere difficile: e anche i discografici facevano fatica a starle dietro. Fortunatamente, però, c’erano alcune persone “illuminate” che le davano retta e lo facevano a proprio rischio e pericolo. Il bello di questa cosa era che lei si esprimeva male, ma aveva ragione: l’idea di incidere i pezzi di Djavan non l’aveva fatta ancora nessuno, in quel modo lì. Certo, Ornella Vanoni si era avvicinata più volte al mondo brasiliano, ma aveva privilegiato i classici. Loredana, invece, fece tradurre i brani di Djavan da Enrico Ruggeri e Bruno Lauzi e ne venne fuori un album bellissimo. Inizialmente la produzione venne affidata a un produttore brasiliano, ma Loredana lo cacciò e quindi in cabina di produzione ci alternammo io e Elio Rivagli.
Del primo incontro con De Gregori, invece, cosa ricordi?
Una persona alta, austera, e una personalità che intimidiva molto. Ci incontrammo la prima volta nel 1985. Fu lui a cercarci: gli erano piaciute le sonorità che avevamo espresso nell’album “Ventilazione” di Ivano Fossati e quindi invitò me, Elio Rivagli, Gilberto Martellieri e Ivano a partecipare alle lavorazioni di “Scacchi e tarocchi”. Inizialmente fu un po’ scioccato dall’impatto energetico che portammo nei suoi brani: poi, poco per volta, se ne innamorò.
Nel 1985 De Gregori aveva già pubblicato album come “Rimmel”, “Bufalo Bill” e “Titanic”: conoscevi quei dischi oppure non avevi seguito quella che, fino a quel momento, era stata la sua carriera?
Non lo seguivo, per mia ignoranza. Ero molto prevenuto nei confronti del mondo dei cantautori come De Gregori e Guccini. Ascoltavo soprattutto musica straniera: per me esistevano solo i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin, Jimi Hendrix. Fu Battisti, con quel suo modo innovativo di cantare le parole, a farmi avvicinare alla “musica leggera”, che poi così “leggera” non era.
Parlando dei “classici” di De Gregori, nel libro scrivi: “Sono molto più rivoluzionari della media dei brani che ascoltiamo in radio oggi”. In che senso?
Nel senso che quello che io apprezzo di lui, tra le altre cose, è il fatto di non essersi chiuso in un cliché e fare cose che escono fuori dai suoi standard. Uno che ha scritto una canzone come “La donna cannone” potrebbe tranquillamente inserire il pilota automatico e scrivere cose analoghe, sapendo – sulla carta – che venderebbe comunque. Ma siccome lui questo mestiere non lo fa per il denaro, ma perché è la sua passione, è sempre alla ricerca di qualcosa che lo stimoli.
È per questo motivo che rivisita sempre i suoi brani, dal vivo?
Esatto: non vuole far diventare un concerto l’esecuzione di un disco. In questo è più rivoluzionario e attuale di tante persone che cominciano a scrivere adesso: oggi c’è molta paura nel cercare di uscire dai cliché, perché i dischi non vendono e si cerca di rimanere dentro i binari per cercare di vendere, a scapito della musica e della creatività.
È vero che siete al lavoro sul nuovo album di inediti, il primo dopo “Sulla strada” del 2012?
Partiamo dal presupposto che tutti noi della band abbiamo la grande fortuna di divertirci ad ogni concerto: salire sul palco e suonare per due ore è come fare ricreazione e questo ci manca molto, ora che siamo fermi. Abbiamo trascorso gli ultimi tre anni sempre in tour e già qualche mese prima dell’annuncio della pausa Francesco mi aveva confidato le sue preoccupazioni: “Non vorrei arrivare al punto di vedere che la gente non viene più perché non abbiamo niente di nuovo da proporre”. E così è stato costretto a prendersi una pausa, anche se in realtà non avrebbe voluto fermarsi. Mi aveva detto di voler scrivere qualcosa per tornare in pista e io mi auguro che stia scrivendo nuovi pezzi. A ottobre, intanto, ripartiremo con una serie di concerti in Europa, poi vedremo cosa succederà.
di Mattia Marzi
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Fausto Leali torna dal 30 settembre, in tutte le radio e su tutte le piattaforme digitali, con il singolo “A chi mi dice” interpretato in duetto con Mina. Il brano, portato al successo dai Blue e adattato in italiano da Tiziano Ferro, anticipa il nuovo album “Non solo Leali” in uscita il prossimo 21 ottobre. Il discoè prodotto da NAR International per Universal Music Italia.
Il nuovo progetto discografico contiene dieci brani interpretati da Leali insieme ad alcuni dei più grandi cantautori ed interpreti della canzone italiana e non solo, infatti oltre a Mina ci sono: Renzo Arbore, Claudio Baglioni, Alex Britti, Clementino, Francesco De Gregori, Tony Hadley, Massimo Ranieri, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi.
Fausto Leali, grande interprete della canzone italiana, arriva al successo nel 1967 con il brano “A chi”. Nel ’68 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo con “Deborah” e sarà presente per ben undici edizioni tra cui quella del 1989 dove vince con il brano “Ti lascerò” cantato insieme ad Anna Oxa. Leali ha collaborato con diversi autori della canzone italiana: da Mogol per l’album “Amore dolce, amore amaro, amore mio”, a Tozzi e Bigazzi per il brano “Io camminerò” e Toto Cutugno per “Io amo”… senza dimenticare Fasano e Berlincioni con “Mi manchi”. Nel 2014 dopo oltre cinquant’anni di carriera musicale e a cinquant’anni esatti dall’uscita del primo album pubblica la sua autobiografia “Notti piene di stelle” in cui racconta la sua straordinaria avventura.
Guido Gugliemetti, arrangiatore, compositore e musicista, ha collaborato con molti importanti nomi della musica italiana, come Lucio Battisti, Umberto Tozzi, Ivano Fossati, Mia Martini, Mina, Anna Oxa, Lucio Dalla. (…)
Guido, cominciamo dall’inizio e raccontaci i tuoi esordi…
Dobbiamo andare molto indietro nel tempo. Circa 45 anni fa ho iniziato a suonare in parrocchia con un gruppo di amici, uno dei quali era Umberto Tozzi. Successivamente ho avuto l’opportunità di partecipare alla registrazione di “Il mio canto libero” di Lucio Battisti; è stato il mio debutto come professionista, avevo solo 19 anni. Circa 30 anni fa ho conosciuto De Gregori e ho iniziato a esibirmi sul palco con lui, dal 2000 sono anche produttore di tutti i suoi dischi e band leader durante i suoi concerti
Olivola — Giovedì 17 settembre la Pro Loco di Olivola, in collaborazione con il Comune, organizza in piazza Europa “Sanremo ad Olivola – Festival della Canzone Italiana”. Il concerto inizierà alle or 21 e durante la serata suoneranno “I Banditi di Rocchetta Tanaro”, complesso ritmico sinfonico a fiati, formato da 50 elementi e 5 cantanti. Dirige il maestro Corrado Schialva. Saranno eseguite le canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana degli ultimi 20 anni con canzoni di: Mina, Patty Pravo, Anna Oxa, Fausto Leali, Vasco Rossi, Ricchi e Poveri, Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi, Gianni Morandi. Durante la serata sarà attivo servizio bar.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) – Sono i Pooh i vincitori di Sanremo più cercati e venduti sul sito di annunci Kijiji.it. In occasione della partenza del 64esimo Festival della canzone italiana, il portale del gruppo e-bay ha analizzato gli annunci presenti relativi alla compravendita di cd, musicassette, vinili, libri, per individuare i trionfatori della storica kermesse che riscuotono maggior successo on line. In testa alla classifica ci sono dunque i Pooh: Facchinetti e compagni, vincitori nel 1990 con ‘Uomini Soli’, collezionano circa 1.300 annunci. In seconda posizione Al Bano, vincitore nel 1984 insieme a Romina Power, con ‘Ci sarà’, che raggiunge quota 400 inserzioni. Al terzo posto Enrico Ruggeri, trionfatore nel 1987, insieme a Tozzi e Morandi sulle note di ‘Si può dare di più’, e nel 1994 come solista con ‘Mistero’, che colleziona 390 annunci. Eros Ramazzotti, uno dei pochi a essersi affermato sia nella categoria nuove proposte sia nei big, essendo stato lanciato proprio dal festival nel 1984 con ‘Terra Promessa’ e confermandosi nel 1986 con ‘Adesso Tu’, colleziona 365 annunci. Chiude la top five, il ‘molleggiato’ Adriano Celentano, vincitore nel 1970 in coppia con Claudia Mori con il celebre ‘Chi non lavora non fa l’amore’, che registra 342 inserzioni. Segue in sesta posizione Domenico Modugno (257 annunci), il mattatore del festival, con quattro vittorie conquistate a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Al settimo posto Claudio Villa, vincitore di tre festival, che raggiunge quota 205 annunci. Ottava posizione per Riccardo Cocciante (trionfatore nel 1991 con ‘Se stiamo insieme’) con 260 inserzioni. Nono Gianni Morandi, vincitore nel 1987 con Ruggeri e Tozzi, con 206 annunci. Chiude, infine, la top ten Peppino di Capri (203 annunci), trionfatore nel 1973 e nel 1976 con ‘Un grande amore e niente’ e ‘Non lo faccio più’. A seguire, nell’ordine: Umberto Tozzi, i Ricchi e Poveri, Laura Pausini, Anna Oxa, Fausto Leali, Massimo Ranieri, Riccardo Fogli, Luca Barbarossa, i Matia Bazar, e Bobby Solo.
(17 febbraio 2014 ore 13.17)
A dirlo è Danilo Amerio, l’autore e produttore di testi per Anna Oxa, Nicola di Bari, Raf, Umberto Tozzi, e cantante in più edizioni festivaliere degli anni ’90.
“Il festival del prossimo anno dovrebbe essere più veloce e moderno con al centro le canzoni scelte non per il personaggio ma per la bellezza del brano in sé”. A dirlo è Danilo Amerio, l’autore e produttore di testi per Anna Oxa, Nicola di Bari, Raf, Umberto Tozzi, e cantante in più edizioni festivaliere degli anni ’90.
L’opinionista per tutta la settimana del festival di SanremoNews, commenta così questa edizione “morandiana” ormai conclusa e guarda al futuro non escludendo una sua partecipazione alla kermesse canora. “Riascoltandolo, il pezzo di Emma era quello più forte. Quello di Arisa era carino, frutto della sua evoluzione ma non da meritarsi la vittoria. Il prossimo Festival? C’è bisogno di qualcuno più veloce, tipo Bonolis o Fiorello. I tempi sono cambiati. Se affidassero la conduzione a Fiorello con direzione artistica le canzoni sarebbero decisamente superiori. La miscela one man show e canzoni forti sarebbe perfetta”.