SCH, baron noir.

21/01/2019
À l’occasion de la sortie de son troisième album intitulé JVLIVS, nous avons eu la chance de nous entretenir avec SCH aka Julien Scharwzer. Portrait de l’unique mafieux napolitain de l’hexagone.

Des cheveux mi-longs soigneusement plaqués en arrière, attachés par un élastique. De l’or partout. Sur les bagues, la montre, les oreilles, et même les lunettes. Un col roulé noir impeccable, dissimulé sous un cuir camel ou un trenchOn reconnaît facilement SCH grâce à quelques attributs physique clés, indissociables du personnage. Un air de Tony Montana qu’il cultive, même si il préfère ne pas l’avouer : « je n’ai jamais dit que je voulais ressembler à un voyou italien. Cette esthétique, c’est mon mood, mon lifestyle, c’est ce qui me plaît. À la place, je préfère me définir comme méditerranéen ».

Sa passion pour le pays de Dante remonte à son enfance, à l’époque où son père écoutait Umberto Tozzi et Toto Cutugno – la crème de la variété italienne. « L’Italie, culturellement parlant, a un potentiel exportateur supérieur à celui de la France. Sûrement à cause de la langue, qui est plus musicale. » C’est d’ailleurs pour ça qu’il sera l’un des premiers à travailler avec le désormais célèbre rappeur italien Sferra Ebbasta : « Je suis super heureux d’avoir été précurseur le concernant. Je suis très fier de lui. » (…)

 

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Spegnete la musica italiana

09.01.2019
L’esplosione della trap, l’urban, il nuovo indie di Calcutta e Thegiornalisti… Da chi fa canzoni pretendiamo di ascoltare roba che, al suo posto, non sapremmo scrivere. Quello che abbiamo ascoltato nel 2018, al contrario, ci è sembrato “smaller than life”, materia superficiale, offerta di un’asta al massimo ribasso

Avete mai sofferto di depersonalizzazione? Quando eravamo adolescenti, qualche volta capitava: ti sentivi estraneo al tuo corpo, magari non ti riconoscevi allo specchio, avvertivi come un senso di distacco da tutto ciò che ti accadeva intorno e, anche se eri sveglio, provavi la stessa sensazione di quando si sogna. Per almeno 25 anni non ci è più successo, poi rieccola la depersonalizzazione: di fronte alle acclamatissime uscite discografiche italiane del 2018, alla critica che si scappellava, al pubblico che ascoltava in streaming e si metteva in fila ai concerti, siamo rimasti impalati e impallati, confusi e infelici come se ci volessero chissà quali occhiali speciali per provare a capire la realtà che avevamo davanti, come se al mondo non ci fosse altra verità che quella cantata da Jimi Hendrix: «I don’t live today/ Maybe tomorrow/ Well, I just can’t say». E cioè: non apparteniamo al mondo di oggi, forse apparterremo a quello di domani ma chi è che può dirlo? Il nostro è più un auspicio che una certezza. Perché l’unica cosa che possiamo dire senza eccessivi giri di parole è che, nel 90 per cento dei casi, in ciò che ha prodotto l’industria musicale italiana non ci siamo ritrovati granché.

Dark Polo Gang

Ghali

È stato l’anno della consacrazione dell’universo urban (rap/hip hop/trap e affini). Questo, che ci piaccia o meno, è il nuovo mainstream. Le case discografiche che per anni avevano investito, tra tante incertezze, sulle scene in questione finalmente hanno cominciato a raccogliere i frutti della semina. È stato l’anno della trap, dello straordinario successo di Sfera Ebbasta, finito suo malgrado nel dibattito generalista a causa della tragedia di Corinaldo di cui – è bene ripeterlo ancora una volta – l’artista non è responsabile. Sempre che ci piaccia o meno, il suo Rockstar è il disco che ha dominato le classifiche del 2018. Avete presente? L’album in cui la trapstar di Cinisello Balsamo impugna una Gibson Flying V come quella che sempre l’Hendrix di cui sopra possedeva. La impugna all’incontrario e speriamo solo per vezzo iconoclasta. Potremmo parlarvi del culto dei soldi facili e della ricchezza a tutti i costi, dei messaggi sessisti e dell’esaltazione delle droghe non convenzionali come lo “sciroppo”, della differenza tra la trap americana e quella italiana, arrivata tipo con 20 anni di ritardo, del fatto che negli States torna il rap impegnato (vedi alla voce Childish Gambino), ma non lo faremo. Certo, la trap italiana non è solo Sfera Ebbasta, diranno molti: c’è anche Ghali, che sarebbe il più intellettuale della brigata e nel 2018 ci ha regalato il singolo politico (politico?) Cara Italia, la Dark Polo Gang (Trap Lovers), Achille Lauro (Pour l’Amour), Capo Plaza (20) e potremmo a lungo andare avanti con l’elenco di nomi e titoli, perché l’anno il 2018 è stato piuttosto generoso su questo versante. Cifra stilistica comune? Un maledettismo parecchio generico, idee piuttosto confuse su come va il mondo ma un disperato bisogno di comunicarle al mondo. Sarà che siamo vecchi, ma meglio della trap ci suonano sicuramente rap e hip hop tradizionalmente intesi: Playlist di Salmo forse è stato il miglior album ascrivibile al filone, probabilmente perché è un disco “suonato”, perché il ragazzo ha bello che varcato la soglia dei 30 anni e ha recuperato quella che potremmo definire una certa consapevolezza. Dice spesso cose intelligenti, anche se non sempre ci piace il modo in cui le dice.

Usciamo dal territorio urban e passiamo alla musica suonata. C’è il fenomeno indie, si sa, ma forse dovremmo parlare di “equivoco indie” perché l’espressione suona adesso parecchio equivoca. A uso dei profani: indie, diminutivo anglofono del termine “indipendente”, in origine indicava le produzioni concepite oltre i confini delle major, lontane cioè dall’ortodossia di pop e rock mainstream. Indie non era un genere, ma un contesto produttivo. Eppure ha finito con il diventare un genere, quando ci si è accorti che tutte quelle produzioni, oltre al low budget, avevano in comune approccio e, spesso e volentieri, suono poco allineato. Se a un ragazzo dei primi anni Novanta il proverbiale marziano a Roma avesse chiesto che cos’è l’indie italiano, magari il ragazzo in questione non avrebbe saputo rispondere. Ma in caso contrario, sarebbe partito tutto un rosario di Csi, Bluevertigo, Marlene Kuntz, Almamegretta e compagnia cantante. Roba con la «erre» maiuscola che nulla aveva a che fare, per esempio, con il cantautorato acqua e zucchero tendente al pop dei vari Raf, Umberto Tozzi e Luca Carboni.

Ironia della sorte: oggi praticamente tutti conoscono il termine indie, ma il termine indie ha cambiato significato. Se l’urban è il nuovo mainstream, con l’espressione indie si indicano artisti come Calcutta (Evergreen) e Thegiornalisti (Love) che propongono esattamente lo stesso cantautorato acqua e zucchero di cui sopra. Corollario del teorema: i vari Carboni, Raf e Tozzi sono tornati in pista per davvero e, se permettete, meglio i maestri che i discepoli. Chi è il poeta dell’attuale generazione indie? Motta, ci dicono, in virtù del pluripremiato ultimo album Vivere o morire. Per carità: il disco si fa ascoltare, ma siamo comunque lontani da ciò che di solito chiediamo alla musica che ci piace. O forse il problema è che chiediamo troppo alla musica che ci piace.

Sfera Ebbasta

Salmo

Riassumendo: la musica italiana ci ha rotto i cabbasisi, è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i cabbasisi. In nove casi su dieci. Perché, a scavare, trovi sempre qualche eccezione fuori dall’hype e, se non la trovi, ti piace pensare che la troverai, perché sei ottimista di natura. Qualcuno di voi probabilmente dirà che la musica italiana contemporanea è figlia di tempi di grande confusione e che, considerando la confusione di questi tempi, tutto sommato, dai, non sono male i dischi che si fanno di questi tempi. Sarà. Per noi l’arte deve avere, sempre e comunque, un pre-requisito: la vogliamo bigger than life, più grande della vita. Da chi fa musica pretendiamo di ascoltare canzoni che, al suo posto, non sapremmo scrivere. La musica italiana di oggi, al contrario, ci sembra smaller than life, materia superficiale, offerta di un’asta al massimo ribasso. Dadaismo? È un alibi. Minimalismo? È il chiavistello che apre la stalla dalla quale scappano gli autori mediocri. E la colpa, non ci stancheremo mai di dirlo, è anche di chi fa il nostro mestiere.

Dov’è finita la critica? Una volta era tutto un polarizzarsi. Che ti piacesse il pop (e leggevi Tutto e Cioè), il New Romantic (e leggevi Mattissimo o Paninaro), il rock classico (Mucchio e Buscadero), il Metal (quante riviste esistevano), più avanti il grunge (Rumore). Una volta ci si polarizzava addirittura con le fanzine e ce n’erano di bellissime. Oggi il gusto musicale tende a formarsi sui consigli di YouTube e Spotify. I giornalisti, ammesso che qualcuno s’interessi ancora a ciò che scrivono, fanno comunella con gli uffici stampa e spesso hai la sensazione che siano questi ultimi a scrivere sui giornali. Chi è che insegna ai ragazzini come si distingue l’arte dalla merda (non) d’artista?

https://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2019/01/spegnete-la-musica-italiana/?refresh_ce=1

C’E’ VITA DOPO LA TRAP – Parte III

C’è vita dopo la trap? – PUNTATA 3

Viaggio all’interno di un mondo diventato ormai una solida realtà dello scenario musicale italiano

Caro diario, sono alla terza settimana di ascolto compulsivo della trap e mi manca pure la musica neomelodica, ma la mia determinazione è più forte di ogni qualsiasi spicciola tentazione. Tra un pezzo e l’altro, rapito dai testi e dell’ascolto, ad un certo punto mi sono posto il seguente quesito: come si chiamano realmente i trapper italiani e perché hanno scelto questo determinato nome? Partiamo naturalmente da Gionata Boschetti, all’anagrafe Sfera Ebbasta, stando alle sue dichiarazioni: «Sfera è il nome che usavo da ragazzino. Quando mi sono iscritto a Facebook la pagina mi chiedeva obbligatoriamente un cognome, ma non avevo intenzione di inserire le mie reali generalità, allora ho scritto Ebbasta».

“Storia interessante” anche per Mario Molinari, che prima sceglie il nome d’arte di Incubo, successivamente s’inventa Duate, per poi adottare definitivamente lo pseudonimo di Tedua, che tradotto in italiano dall’albanese significa “Ti amo”. Non omaggia Umberto Tozzi, invece, Izi (alias Diego Germini), già conosciuto in precedenza come Eazyrhymes e Izi Erre, il suo nome richiama il termine inglese “easy”, ossia “facile”, come la vita che è costretto a condurre a causa dei suoi problemi di salute e della sua lotta contro il diabete. Finalmente qualcosa con un minimo di senso, un po’ come per Ghali, che ha scelto di conservare il suo nome reale, ossia Ghali Amdouni. Direi di terminare qui questo viaggio, andiamo oltre e cerchiamo di leggere un po’ di commenti presi dal web, per capire cosa pensano i “gggiovani” di questo fenomeno più sociale che musicale.

COSA RAPPRESENTA LA TRAP PER I RAGAZZI DI OGGI?

Giovane 1: “L’ascolto perché mi provoca sentimenti che altri generi musicali non mi tramandano”
(Addirittura! Chissà a quali generi ti riferisci, forse alle suonerie polifoniche dei primi anni ’00?)

Giovane 2: “La trap per me è una cosa molto commerciale, ma strumentalizzata bene”
(Oh, ecco un commento che sposa parzialmente il mio consenso)

Giovane 3: “Perché secondo me è un’arte, un modo per esprimersi e se qualcuno esce bene in quella maniera non vedo il motivo per cui non lo debba fare”
(Arte parliamone, anche se il commento parte troppo sulla difensiva, incarna un po’ il concetto di molti: conta più il parere generale di quello personale)

Giovane 4: “Io non riesco a capire perchè la gente sente il bisogno di giudicare male la trap, anche perché ci si concentra sul modo di vestire esagerato, sullo stile di vita più che sul resto”
(Ah, perché c’è un resto?)

Giovane 5: “Chi ancora non riesce ad accettare la trap in Italia deve rassegnarsi, perché è un movimento che ha cambiato per sempre le regole del rap, anche perché finiscono in classifica”
(Fammi capire, a prescindere dal genere, se un brano entra in classifica è bello o altrimenti è una ciofeca? Non credo funzioni proprio così, comunque hai azzeccato il termine “rassegnarsi”)

Giovane 6: “Mi piace perché è basata sul sound e non sugli argomenti, sulle immagini e non sulle parole”
(Hai dimenticato di dire che si basa “sul viaggio e non sulla destinazione”…)

Giovane 7: “La trap è figa perché ascoltarla è una figata”
(Un po’ come questa opinione molto opinabile)

Giovane 8: “C’è chi la definisce retorica e priva di contenuti, io ci vedo tanta profondità a livello di tematiche”
(Tipo lo slogan ricorrente del “prima ero povero e adesso sono ricco”? Mmmh, molto interessante)

Giovane 9: “Se hai dai dodici ai sedici anni non puoi non ascoltarla”
(E, dimmi un po’, quando sarebbe entrato in vigore questo decreto-legge?)

Giovane 10: “La trap è la versione ignorante del rap”
(Ok, ti stimo)

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C’è vita dopo la trap? – PUNTATA 3

 

Wind Music Awards 2017: i cantanti e gli ospiti divisi per serata

05 Giugno 2017 | 14:08

Wind Music Awards 2017: i cantanti e gli ospiti divisi per serata

Tutti i cantanti italiani che saliranno sul palco e gli ospiti internazionali che si esibiranno il 5 e il 6 giugno

 di Valentina Cesarini

Foto: Carlo Conti e Vanessa Incontrada
Credit: © Iwan Palombi

In diretta su Rai 1 le due serate Wind Music Awards

mercoledì, 24 maggio 2017

24.05.2017

La scorsa edizione in Arena (foto Archivio)

La scorsa edizione in Arena (foto Archivio)

tutto schermo

Il 5 e 6 giugno la prima serata di Rai 1 sarà illuminata dalle grandi stelle della musica italiana che verranno premiate per i loro recenti successi discografici e si esibiranno sul prestigioso palco dell’Arena di Verona per i Wind Music Awards. A presentare le due serate, in diretta su Rai 1 a partire dalle 20.35, saranno Carlo Conti e Vanessa Incontrada.

I PREMIATI

Ecco i primi nomi degli artisti premiati: Alessandra Amoroso, Baigio Antonacci, Benji&Fede, Loredana Bertè, Boomdabash, MicheIe Bravi, Briga, Decibel, Francesco De Gregori, Elisa, Elodie, Emma, Fabri Fibra, Francesco Gabbani, Ghali, Giorgia, Raphale Gualazzi, Rocco Hunt, Il pagante, Il Volo, J-Ax & Fedez, Ligabue, Litfiba, Lowlow, Fiorella Mannoia, Marracash e Gué Pequeno, Ermal Meta, Modà, Fabrizio Moro, Gianna Nannini, Nek, Max Pezzali, Gabri Ponte, I Pooh, Eros Ramazzotti, Massimo Ranieri, Francesco Renga, Fabio Rovazzi, Sfera Ebbasta, Sergio Sylvestre, Thegiornalisti, Umberto Tozzi, Renato Zero, Zucchero.

Come di consueto, verranno premiate le stelle del panorama musicale italiano che hanno raggiunto (nel periodo maggio 2016/maggio 2017) con i loro album i traguardi ’orò, ’platinò e ’multi platinò e con i loro singoli la certificazione ’platinò e ’multiplatinò (certificazioni FIMI/GfK Retail and Technology Italia). Il ’Premio Livè, basato su certificazioni SIAE, in collaborazione con Assomusica, verrà introdotto per la prima volta quest’anno e verrà consegnato a tutti gli artisti che si sono contraddistinti per i risultati rilevanti ottenuti in termini di numero di spettatori presenti ai loro concerti (nel periodo maggio 2016/maggio 2017). Tra i ’Premi livè un riconoscimento sarà riservato anche allo spettacolo dal vivo non musicale che nel periodo di riferimento ha ottenuto il maggior numero di ingressi.

LE CATEGORIE

Le categorie individuate per la premiazione degli artisti durante la ’serata dei successi livè sono: oro oltre i 40.000 spettatori, platino oltre i 100.000, doppio platino oltre i 200.000, triplo platino oltre i 300.000, diamante oltre i 400.000. Nel corso delle serate, che vedranno la partecipazione anche di Clean Bandit, Imagine Dragons, Lenny, Luis Fonsi e Ofenbach in qualità di ospiti internazionali, verranno consegnati altri riconoscimenti e premi speciali agli artisti che si sono contraddistinti per risultati d’eccezione. Wind Music Awards é realizzato con la collaborazione delle Associazioni del Settore Discografico FIMI, AFI, e PMI e con la collaborazione di SIAE e Assomusica, prodotto da F&P Group con la Ballandi Multimedia per la cura e la gestione di tutti gli aspetti televisivi dell’evento.

LAPRESSE
 http://www.larena.it/in-diretta-su-rai-1-le-due-serate-wind-music-awards-1.5722760